La grande beffa

La grande beffa

Tratto dal libro: LA MINIERA DEI BOTTONI

Piovve una settimana, poi fece un giorno di bel tempo. Troppo poco per organizzare la spedizione alla miniera. Poi piovve nuovamente per giorni e giorni. Nel frattempo era iniziata la scuola, le giornate si erano accorciate e avevamo molte altre cose a cui pensare, ma Angela, Silvia ed io, eravamo ormai inseparabili, unite dal comune segreto e dal desiderio di riprendere i lavori lasciati in sospeso al “Sasso Grigio” I nostri discorsi vertevano esclusivamente sui bottoni e sulla possibilità di realizzare con essi delle collane particolari, degli anelli, borsellini per gioielli, oppure… di aprire un negozio e venderli come ricordo del colle del Sasso Grigio. Che idea!

Con i più belli potremmo realizzare delle spille!” propose Silvia.

E dei braccialetti o dei fermagli per capelli” aggiunse Angela. A me invece venne in mente che avrei potuto regalarli a Bruno che stava cercando disperatamente nastri, piume, spille, medaglie, da appuntare sul cappello da coscritto.  L’entusiasmo era alle stelle, al punto tale che Angela, credendo di far bene, andò un giorno nascostamente alla miniera, accompagnata da un cuginetto. La sua intenzione era quella di controllare la situazione, vedere cosa ne era stato dei nidi con i bottoni, ed eventualmente nasconderli meglio, prima che qualcuno andando in cerca di funghi, scoprisse la miniera. Il cugino era rimasto sorpreso, non tanto dai bottoni, ma dal fatto che era stata trovata anche una moneta e sicuramente potevano essercene delle altre e chissà quante!

Era un pomeriggio di ottobre quando dopo giorni e giorni di pioggia, e impedimenti vari, potemmo finalmente ritornare al luogo segreto. Cercammo di organizzarci al meglio, suddividendoci i compiti in modo da fare le cose per benino. Nascostamente ammucchiammo scatole da scarpe, secchielli e scodelline, sacchettini, stracci, strofinacci, e tutto l’occorrente per pulire i bottoni, classificarli e separarli in ordine di grandezza e preziosità. L’entusiasmo era grande e ognuno lo esprimeva in modo diverso; io fischiettavo, Silvia canterellava e Angela rideva in continuazione. Giunte però in vista della collina, constatammo con grande stupore che qualcuno ci aveva precedute. Man mano che ci avvicinavamo capimmo che non era qualcuno che andava in cerca di funghi e nemmeno si trattava di una persona sola, ma addirittura di un gruppo di ragazzi da fuori paese e tra questi i due conosciuti come i più arroganti e pericolosi del Contà. E avevano scoperto la miniera! Vi si aggiravano attorno come lupi affamati. Erano già dotati di scatole, sacchi e quant’altro. Uno di loro aveva addirittura una vanga, mentre un altro stava puntellato a una grossa zappa. Uno scavava, un’altro faceva la spola tra la miniera e il rio Naros, un altro li sistemava nelle scatole e un altro ancora faceva la guardia. Un’ organizzazione inappuntabile.

Non ci fu il tempo di scoprire chi si era lasciato sfuggire il segreto, né di incolparci o piangere sul tesoro perduto. Sostammo un attimo a osservare le operazioni, incerte se intervenire, ma il predone che faceva la guardia si accorse della nostra presenza e mettendo le mani ai fianchi per darsi più importanza chiese con aria minacciosa:

Cosa venite a fare qui “zetine”?

Ma chi ve l’ha detto?” osai avanzando coraggiosamente.

Ma chi ve l’ha detto?” ripeté lui scimmiottando la mia voce.

Sono anni che lo sappiamo noi! Non fate le furbe e andatevene via prima che…

Ma se siamo state noi a scoprire la miniera!” lo interruppe Silvia che era la più giovane di noi, ma la più robusta per avanzare obiezioni.

Ma senti un po’ cosa mi tocca sentire! Ah sareste state voi a scoprire questo posto? Dicono tutti così quando è ora di spartire. Diteci invece dove avete nascosto le monete che avete trovato.

C’era una sola moneta – precisammo noi – ma l’abbiamo rimessa sotto terra, perché era buio e poi era tardi e ci chiamavano… e non ci ricordiamo più esattamente dove. Scavate qualche metro sopra, anzi no, forse era a destra, sì, sì, provate più a destra dell’albero e la troverete.”

Era l’unica trovata possibile per impedire che ci rincorressero. E Angela che sapeva fare la voce dolce e un tantino lamentosa aggiunse:

Ma almeno dateci un po’ di bottoni!

Ma sentitele, sentitele quelle pissottelle, vogliono anche loro il bottino di bottoni! E per farvene cosa? Gli orecchini?

Addio negozio, addio spille e collane, addio ricchezza! Eravamo state gabbate come Pinocchio e al danno si erano aggiunte anche le beffe. Amareggiate e quasi piangenti, ci girammo per andarcene. Ci mettemmo a correre, ma prima di essere fuori pericolo fummo investite alle spalle da una gragnuola di bottoni, i più grossi e i più brutti che avevano selezionato per darci la “buona uscita”.

Arrivate a casa di Angela, tirammo un sospiro di sollievo. Sua madre ci fece salire e ci confortò con un quadratino di cioccolata, poi andò verso la credenza, e si girò verso di noi tenendo il pugno chiuso. La guardammo incuriosite mentre sorridendo apriva la mano. Il bottone “d’oro”, il ciondolo di “diamante” e la moneta erano lì, sane e salve. In fondo erano le cose più preziose che avevamo trovato. Il giorno precedente, Angela preoccupata per il perdurare della pioggia, aveva convinto il papà ad andare con lei alla miniera per salvare almeno le cose più importanti. E così sotto un acquazzone erano riusciti a portare a casa una piccola parte della nostra “preziosa” scoperta. Rimaneva da chiarire chi era stato a nascondere quel tesoro, ma scoprimmo che la mamma di Angela sapeva già tutto e conosceva il segreto della miniera.

Da giovane, lavorava come sarta per Giuseppe, il sarto del paese, figlio e nipote di sarti. Tre generazioni che anziché denaro, avevano accumulato bottoni inservibili perché unici e quindi non più utilizzabili.

Ormai anziano, senza figli e nipoti aveva regalato alla mamma di Angela la macchina da cucire e portato dallo straccivendolo tutti i rimasugli di stoffa che gli erano rimasti, ma non sapeva che farsene dei bottoni.

Un giorno, trovandosi per l’ennesima volta tra le mani il sacco con tutte le scatole che li contenevano, decise di disfarsene e si diresse verso il rio Naros per gettarne il contenuto nell’acqua, ma giunto sul posto, ebbe dei ripensamenti. Quei bottoni testimoniavano la storia di tre generazioni, non poteva disperderli irrimediabilmente e così pensò bene di sotterrare il contenuto del sacco, sotto un piccolo abete, alle pendici del colle del Sasso Grigio. L’abete col tempo era cresciuto, mentre le sue radici allungandosi avevano smosso e sparpagliato sotto terra il grosso mucchio di bottoni.

Da allora, ne è passata di acqua sotto i ponti del rio Naros, ma la mamma di Angela, ormai anziana, ma ancora bella e con i capelli color miele divisi sulla fronte, mi ha accolta con un grande sorriso.

Il tesoroè ancora tutto intero a casa mia – ha precisato – e ricorda la vostra bella amicizia. La vita vi ha separate presto e vi ha portate lontano, ma so che con Angela vi sentite ancora e che ancora parlate della miniera dei bottoni, di giochi, di beffe e… di Sasso Grigio, come allora…

(Continua il mese prossimo…)

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