Gli antichi “lezi”

Gli antichi “lezi”

Capolavori di ingegno, fatica e di storia nonesa

La valle di Non ha una morfologia complicata con una struttura geologica segnata da profondi avvallamenti ed ampi pianori / terrazze che la rendono un arioso e soleggiato altipiano adatto ad ogni genere, o quasi, di coltura.  Ma come irrigarlo?  Ecco questo è stato più di due secoli fa il principale pensiero dei valligiani del tempo che con ingegno, fatica e grande determinazione sono riusciti a portare su questi ampi terrazzamenti in quota l’acqua prelevandola dai profondi torrenti che solcano la valle. La realizzazione delle opere irrigue è stata iniziata nel 1776 e le canalizzazioni, alcune scavate nel vivo della roccia a strapiombo, rimangono tutt’oggi a testimoniare un’epopea di grandi lavori di comunità e rappresentano una capillare rete per la riscoperta del complesso territorio noneso grazie alla serie di lavori di messa in sicurezza dei percorsi più arditi. Questa rete di percorsi, per lo più quasi pianeggiante per la necessità di portare l’acqua a scorrimento il più alto possibile negli estimi da irrigare, sono ora in parte percorribili grazie all’opera dei vari consorzi di miglioramento fondiario, e sono accessibili a tutti, anche se con prudenza. In valle di Non se ne contano a tutt’oggi una dozzina dei quali nove già perfettamente segnalati e per questo inseriti anche nell’offerta turistica. Un modo diverso ed unico per riscoprire la nostra valle che ora “il Melo”, con interventi a puntata, intende far conoscere e riscoprire anche ai valligiani non solo come opportunità turistica e di facili passeggiate all’aria aperta. Lo facciamo anche per un doveroso omaggio alla fatica ed al lavoro che, con i poveri mezzi del tempo, che i nostri antenati hanno saputo mettere in atto ponendo le basi del successo dell’attuale agricoltura che rendono l’Anaunia un prezioso unicum a livello internazionale.                                                                                        

Giacomo Eccher

Passeggiando sul lez di Dambel…

Fra le tante possibilità che in valle possiamo trovare oggi abbiamo scelto di passeggiare sul lez di Dambel. In valle, sono ormai ben nove i percorsi pedonabili già realizzati lungo i tracciati degli acquedotti irrigui, il cosiddetto lez. Questi percorsi sono tutti accomunati da un terreno semipiano che parte dalla zona a monte del paese per poi snodarsi nel bosco in direzione del punto di “presa dell’acqua”. Quello di Dambel è stato realizzato dal gruppo alpini, che provvede anche alla manutenzione, nel 2016 con il contributo degli Enti locali.

Arrivando da Casez e continuando in direzione Sarnonico, circa 1 Km dopo il  paese di Dambel, in prossimità del tornante che si trova sulla SP, troviamo la partenza del sentiero. Dopo aver incontrato la vasca di raccolta dell’acqua irrigua ci lasciamo abbracciare dalla quiete del bosco e, lungo un percorso di circa 6 Km, attraversiamo alcuni avvallamenti con passaggio sul canale sospeso (difficoltoso in mountain bike). Giungendo in località “mas Bertolini” il panorama sull’alta valle occidentale si apre e possiamo distendere lo sguardo dalla maestosa catena montuosa del Brenta nella parte più settentrionale a quella delle Maddalene. Ci troviamo su dei bei pendii erbosi e molto solatii, che in certi periodi dell’anno sono uno sfavillare di colori. In primavera anche nel bosco più ombroso ed umido possiamo ammirare svariate specie di fiori di rara bellezza. Proseguendo in località “Val granda”, dopo circa 1,5 -2 ore di cammino arriviamo al termine del sentiero a valle del paese di Fondo nel punto in cui si trovano le opere di presa sul torrente Rio Sass. Guardando con attenzione nel sottostante stretto ed oscuro burrone, scavato nel corso dei secoli dalle acque rumorose del Rio Sass, possiamo vedere la parte terminale del rinomato, suggestivo ed attrezzato percorso del Canyon Rio Sass. Dal basso del canyon è possibile ammirare una “rosta” fatta di tronchi di larice, realizzata come sbarramento in un punto stretto fra le pareti rocciose e alto ben 30 metri. Tale opera, risalente ad oltre due secoli fa, è servita per poter prelevare l’acqua irrigua ad una quota confacente alle necessità.

Terminata la nostra tranquilla passeggiata possiamo intraprendere la via del ritorno sempre con lo stesso sentiero oppure approfittare dell’occasione per risalire poche centinaia di metri lungo la strada a valle di Fondo ed immetterci, fra campi e prati, sulla pianeggiante ciclopedonabile  dei “Pradiei”.

Mentre camminiamo soddisfatti e rigenerati sulla via del ritorno è doveroso ed importate ricordare i nostri avi che per primi hanno realizzato quel percorso di vitale importanza per la loro sopravvivenza. Lo hanno realizzato senza mezzi, con il solo duro e sudato lavoro manuale, scavando nel terreno o nella roccia per portare più acqua in paese. Fra il ‘700 e l’inizio dell’800 diversi paesi hanno intrapreso le prime opere di costruzione degli acquedotti irrigui.

Per quanto riguarda in particolare Dambel, correva l’anno 1803 quando i capifamiglia si riunirono e decisero di realizzare, a qualsiasi costo, l’acquedotto irriguo. Furono anni di duro lavoro ed enormi sacrifici, con beghe giudiziarie per avere l’acqua, cedimenti, rifacimenti, e frane, ma, alla fine, il sogno di portare l’acqua si concretizzò. Migliorarono le condizioni di vita. Oggi, soprattutto per le nuove generazioni che hanno a disposizione di tutto è quasi impossibile immaginare tempi, non troppo remoti, in cui non c’era niente. La vita di allora era spesso segnata da calamità naturali, malattie come peste, colera legate alla scarsissima igiene e mancanza di medicine, incendi, guerre e con una povertà generale e imperante. Eppure la vita scorreva, sostenuta da valori come la fede, la tenacia, la fiducia, la solidarietà e lo spirito di sopravvivenza. Nell’ultimo secolo i progressi dell’ingegno umano sono stati stupefacenti e sono sotto gli occhi di tutti. Tuttavia ricordare da dove proveniamo fa bene allo spirito e ci consente di godere maggiormente di ciò che oggi abbiamo. Come si dice: non c’è futuro se non c’è memoria del passato.

Piergiorgio Ianes