Agricoltura … Notizie flash

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Attenzione alla peste suina africana

Si tratta di una malattia virale, molto contagiosa, che colpisce, spesso in maniera letale, suini e cinghiali. Non è pericolosa per gli esseri umani tuttavia ha pesanti conseguenze socio-economiche nei paesi in cui è diffusa perché non esistono né vaccini né cure. In caso di presenza della malattia, il settore suinicolo può subire danni ingentissimi sia per la mortalità che per le conseguenti restrizioni commerciali. I sintomi provocati sono simili a quella classica e solo con esami di laboratorio è possibile distinguerla. Nell’Africa subsahariana questa malattia è diffusa da decenni ed è ormai endemica.

In Europa è presente in diversi stati soprattutto dell’Est. In Italia ne è interessata la Sardegna e di recente sono stati confermati un centinaio di casi su cinghiali morti in Piemonte e Liguria. Il monitoraggio di tutto il territorio, ed in particolare quello frequentato dai cinghiali, rimane una delle misure di prevenzione più efficaci. è fondamentale che chiunque, ma in particolare i cacciatori, riscontri un cinghiale morto lo segnali tempestivamente ai servizi forestali o veterinari locali per poter procedere agli accertamenti del caso.

La normativa europea per prevenire e controllare le malattie animali trasmissibili fa riferimento al Reg. 216/429 UE.

Proverbio contadino: Chi ben letama ben raccoglie

Tutti gli agricoltori sanno che un terreno coltivato per produrre bene deve essere fertile. Ma la fertilità se non viene salvaguardata, con il tempo si perde e le rese calano. I concimi minerali, misti-organici ed organici forniscono importanti elementi nutritivi per le piante ma non mantengono la fertilità del suolo. Per fare questo servono i cosiddetti ammendanti organici, di cui il letame è il rappresentante più nobile. Questi infatti, se ben maturi e distribuiti con modalità ed in quantità adeguate migliorano le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del terreno. Ecco quindi che, prima di iniziare un nuovo ciclo colturale, diventa di fondamentale importanza fare una buona letamazione di fondo incorporandola nel terreno. Anche una distribuzione periodica in superficie, normalmente in primavera, aiuta la fertilità ma in misura sicuramente meno efficace. Siamo fortunati che nelle nostre valli del Noce, oltre ad una prestigiosa frutticoltura, abbiamo ancora, negli areali a maggior altitudine, una preziosa ed importante zootecnia. Questo ci consente anche di avere a portata di mano il prodotto che ci aiuta a conservare la fertilità dei suoli. Per anni però le deiezioni zootecniche sono state  considerate più un problema che una risorsa per due motivi. Il primo legato alle quantità eccedentarie rispetto ai terreni prativi coltivati ed il secondo legato al frequente uso di letami freschi e non maturi che anziché aiutare la coltura la mettono in difficoltà. Da qualche anno si è capito che la soluzione poteva essere semplice e sostenibile: creare un’alleanza fra zootecnia e frutticoltura. Gli allevatori dovevano attivarsi per ottenere un letame di qualità ed i frutticoltori acquistarlo ed utilizzarlo per la fertilizzazione delle proprie colture. Per questo motivo è anche nato, nel 2020, uno specifico accordo di programma fra PAT, APPA, FEM, Federazione Provinciale Allevatori, Produttori Ortofrutticoli e Consorzio Tutela Vini. FEM ha sempre fornito agli allevatori la consulenza per la tecnica di maturazione accelerata del letame con i necessari controlli sulla qualità del prodotto ottenuto. In tre mesi, anziché 12 o più, è così possibile arrivare ad un ottimo risultato partendo da letame con base paglia come lettiera. Nel caso invece del “digestato” solido, separato dal liquido, che esce dall’impianto di biogas di Romeno, si riesce ad ottenere una buona maturazione in tempi ancora più brevi.

Zootecnia: occhio ai costi

Non ci riferiamo ai forti aumenti dei costi di produzione degli ultimi mesi bensì ad un’indagine di tipo economico su aziende zootecniche svoltasi nelle annate 2019 e 2020. Si tratta di uno specifico progetto biennale, finanziato con risorse europee, che prevedeva, nella nostra realtà, l’individuazione dei costi standard ed il potenziamento della consulenza economica da parte dei tecnici FEM che di fatto hanno anche svolto queste verifiche.

I costi standard possono diventare un valido riferimento per meglio indirizzare gli aiuti a tutela della sostenibilità economica delle aziende zootecniche. I dati raccolti e analizzati fanno riferimento alla contabilità tenuta dagli allevatori stessi e quindi sono stati considerati solamente i reali esborsi di denaro e non costi calcolati come ammortamenti, manodopera famigliare ecc. Sono state contattate oltre 120 stalle da latte di cui alcune anche in provincia di Bolzano. Le aziende sono state distinte in 8 gruppi secondo le dimensioni e l’impiego o meno di insilato. Le risultanze danno dei costi unitari a litro di latte superiori di almeno il 20% nelle stalle che non fanno uso di insilati (per produzione di formaggio grana) rispetto a quelle che li possono impiegare. Inoltre i costi unitari tendono ad aumentare progressivamente ed in maniera abbastanza importante passando dalle stalle piccole con meno di 10 capi a quelle più grandi con oltre 50 vacche. Per la consulenza economica alle aziende, al fine di meglio razionalizzare i costi, sarebbe importante che le stesse migliorassero la raccolta e la tenuta dei dati inerenti il conto economico. Un’altra verifica svolta dai tecnici Fem, sulla base di numerose e pluriennali osservazioni dei bilanci economici, è stata quella di confronto fra aziende convenzionali ed aziende biologiche. In questo caso nelle uscite sono considerate tutte le voci di costo sia reali che calcolate mentre in entrata il valore della PLV (Produzione Lorda Vendibile) ed i vari tipi di sussidi pubblici. In definitiva, per arrivare allo stesso livello di reddito dell’azienda convenzionale, quella biologica dovrebbe realizzare un prezzo del latte superiore di almeno 15%.

Piergiorgio Ianes