Museo della Civiltà Solandra

Museo della Civiltà Solandra

Vi era un tempo in cui le cose erano fatte a mano, lentamente con i ritmi dettati dal tempo e dalle stagioni. I chiodi, ad esempio, venivano forgiati manualmente uno ad uno, il ferro dolce veniva colato in fornaci da cui usciva grezzo e poi lavorato con movimenti ritmici tra incudine e martello. Li riconosciamo perché hanno una sezione quadrata ed irregolare, erano preziosi ed usati più e più volte, perché erano costati tempo prezioso.

Poi vennero i tempi moderni, gli stessi chiodi ora sono fatti in serie, sezione rotonda e liscia, forgiati da potenti presse o trafilati da bobine d’acciaio come fossero spaghetti, scatole su scatole se uno si piega non si raddrizza ma si cambia, tanto “ne ho una scatola”.

Ma i chiodi vecchi? Sono finiti in fondo a cassetti, relegati negli armadi dimenticati in androni bui e freddi. Poi i vecchi tempi tornano attuali, vengono visti come storia e come tale va conservata per essere tramandata e mai dimenticata. Ovviamente il discorso non è solo per il chiodo, ma tutto quello che era una volta, perché si sa bene che una volta tutto era diverso. I ritmi, i lavori, per nostalgici brizzolati erano diversi anche i valori e gli impegni ma qua rischiamo di cadere in una spirale senza fine quindi, per non perdere il discorso torniamo agli oggetti ed agli attrezzi, realizzati uno per uno, ognuno con un fine ben preciso per ottimizzare scopo e materiale.

Grazie alla loro raccolta nascono realtà museali come il nostro Museo della Civiltà Solandra e, visto che come tutti sanno “two is megl’ che one”, al suo interno troviamo non uno ma ben due musei contemporaneamente; il primo su usi e costumi della gente solandra ed il secondo, un vero e proprio scrigno del tesoro, racchiude il lavoro di Don Giacomo Bresadola apprezzato micologo italiano.

Il museo si estende su due piani dell’edificio ex palazzo pretorile, anche se per molto tempo nel suo piano interrato erano ospitate le carceri.

Si trova in via Trento 40 a Malé.

Aperto nel 1979 ha subito un piccolo ampliamento nel 1983 e custodisce circa 1600 articoli suddivisi in varie tematiche, oltre alla già citata parte sulla micologia.

Non ho la minima pretesa di riuscire a catapultarvi nelle sue sale ma, forse, un po’ di sana curiosità e la voglia di andarci di persona, con una rapida carrellata riesco a trasmetterla.

Vediamo le principali stanze che possiamo visionare:

La cucina, all’interno della quale abbiamo un esempio di focolare circolare con la caratteristica segosta. Una madia utilizzata per stipare tutti i tipi di farine che erano utilizzate, ovvero bianca (ho qualche riserva su quella gluten free), gialla, di segale e nera. Sulla credenza esempi di tazze e stoviglie mentre sulle pareti fanno bella mostra i pentoloni di rame, e qua è d’obbligo un vecchio ricordo della Mariota, colonna portante del Centro Studi fino a quando le è stato possibile, mentre in primavera puliva energicamente tutti i rami nella fontana esterna il museo.

La stua, forse la parte più caratteristica delle nostre case contadine, ovvero la camera da letto completamente rivestita ed intagliata di legno, solitamente cirmolo. Qua apprezziamo il letto matrimoniale con il materasso imbottito di foglie di mais e la culla per i neonati.

Il ramaio o “parolot” che con pochi arnesi: pinze, scalpelli, lime, incudine e martello girava tutta la valle nonché le regioni limitrofe ad aggiustare gli utensili in rame ormai logorati dal continuo utilizzo. Possiamo comunque approfondire anche altre lavorazioni, come: “il fabbro, la trasformazione dei cereali, il calzolaio, filatura e tessitura, agricoltura e bestiame, la trasformazione del latte, raccolta e lavorazione del legno e ultima ma non per importanza l’estrazione della trementina”.

Un vero e proprio excursus di vita contadina a 360 gradi.

In fine potete godere degli studi e delle stampe sui funghi di Don Giacomo Bresadola, nato a Ortisè nel 1874 viene nominato parroco di Magras e qui si dedicò allo studio della botanica per iniziare poi lo studio sui funghi grazie allo spronamento di PADRE Giovanella da Cembra, frate cappucino del vicino convento.

Un piccolo cameo, il convento di Terzolas, ora destinato ad altri utilizzi, era edificato a Malé nella struttura dell’attuale Comunità di Valle, andato bruciato nel tremendo incendio che distrusse gran parte del paese.

Valentino Santini