L’omaggio del Trentino a Veronelli

Negli anni Novanta ribattezzò i nostri vigneti la “Champagne d’Italia”. Cimone vuole dedicargli una via.
Vent’anni fa moriva a Bergamo Luigi «Gino» Veronelli, poeta del vino e del cibo, filosofo illuminato, maestro di giornalismo e padre indiscusso della critica enogastronomica italiana. Aveva 78 anni. Ambasciatore ante litteram del made in Italy e del “bien vivre” italiano (prima, molto prima di Slow Food e del Gambero Rosso), anarchico coraggioso e irriverente, eretico enoico come lui stesso amava definirsi (non enologo, cioè tecnico di cantina, come taluni semplicisticamente ed erroneamente lo definivano) ha lasciato tracce indelebili ed un’eredità sul piano filosofico-culturale che il Seminario Permanente Luigi Veronelli sta portando avanti con passione nel solco tracciato dal maestro.
Amava ripetere: “La vita è troppo breve per bere vini cattivi”
Per chi volesse approfondire la figura di Veronelli consigliamo la lettura del bellissimo volume «La vita è troppo corta per bere vini cattivi» di Gian Arturo Rota e Nichi Stefi (Giunti editore). Non è una biografia, piuttosto un affresco sull’uomo Veronelli. Un giornalista? Sì, ma è riduttivo. Uno scrittore? Sicuramente. Un amante della buona tavola che si è occupato di vini e di cibi? Certamente. Ma soprattutto un cantore straordinario della bellezza, della libertà, dell’amicizia, dell’amore, dell’eros. Un rivoluzionario? Come negarlo visto che ha cambiato il mondo dell’enogastronomia. Un politico? No. Lui, anarchico impenitente, aborriva i politici. Un filosofo? Sì, ma non saccente, né cattedratico.
Una vita spesa a difendere le istanze dei contadini e dell’Italia rurale
Citazioni e aneddoti (molti inediti) si intrecciano in questo libro ricco di riflessioni seguendo il «fil rouge» di una vita spesa a difendere le istanze dell’Italia rurale e dell’universo contadino. Tra gli aneddoti si ricorda il suo primo contatto con il vino, offertogli dal padre il giorno della Prima Comunione con la raccomandazione di «berlo con cura poiché dentro il bicchiere c’è la fatica di chi coltiva la vigna». Poi l’incontro con il famoso maître Luigi Carnacina.
Formatosi a Milano sui banchi del Liceo Classico Parini, si distinse in particolare nelle materie umanistiche e a tal proposito si racconta che abbia sostenuto l’esame di maturità parlando esclusivamente in greco antico. Come regalo il padre gli regalò un soggiorno all’Hotel Savoy di Londra e la prima sera – spavaldo e spaccone – ordinò il piatto più costoso del ristorante. Grande fu la sorpresa quando, scoperchiata la cloche, gli furono servite due uova al burro. Irritato, chiese spiegazioni al maître: «Sì, le uova al burro sono il nostro piatto più caro – fu la risposta – poiché dentro ci sono la sapienza, l’esperienza e la ricerca della perfezione del nostro chef».
Una lezione di vita. Quel maître era Luigi Carnacina, il celeberrimo gastronomo con il quale in seguito lo stesso Veronelli collaborò per la stesura di uno dei più famosi manuali di cucina.
Inventò un linguaggio: vino di pronta beva, vino da meditazione
Il vino italiano deve gran parte del proprio successo alle intuizioni di Veronelli e alla rivoluzione culturale ed enologica di cui è stato lungimirante alfiere e tenace promotore. Dentro ogni bottiglia di vino – amava ripetere – c’è una storia, c’è un territorio, ci sono paesaggi rurali, ma soprattutto ci sono uomini e comunità, con i loro saperi, le loro culture e le loro identità. «Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino industriale» amava ripetere quando assaggiava certi vini blasonatissimi, ma privi d’anima. Vini che descriveva con un linguaggio che è ormai entrato nella storia della critica enologica: vino di pronta beva, vino dialettico, vino dal nerbo viperino, vino opulento, vino da meditazione (riferito ai grandi vini passiti).
Per esorcizzare la morte teneva sul comodino un Picolit (grande vino da meditazione) della leggendaria contessa friulana Giuseppina Perusini Antonini, proprietaria di Rocca Bernarda, morta all’età di 101 anni e un Porto Quinta de Resurressi del 1926 (sua data di nascita) che gli ricordava una notte d’amore con una nobildonna portoghese. Alla fine si è consolato con una bottiglia di «Scaccomatto» (Albana Passito della Fattoria Zerbina di Faenza). Siamo sicuri che se la sarà goduta a piccoli sorsi nell’ora del trapasso.
Quella profezia sul Trentino “Champagne d’Italia”
Nei giorni scorsi, a 20 anni dalla morte, Mario Pojer e Fiorentino Sandri hanno ricordato il maestro radunando a Faedo il mondo vitivinicolo trentino per brindare con le bollicine e i vini del cuore. Ricco di aneddoti l’intervento del prof. Francesco Spagnolli, preside emerito dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, che ha ricordato la profezia dell’amico Gino Veronelli (è stato anche il suo testimone di nozze) quando gli confidò che grazie al clima, alla conformazione geologica e alla posizione geografica (46° parallelo), il Trentino aveva tutti i requisiti per diventare la Champagne d’Italia. E lo si è visto a distanza di qualche anno se consideriamo che dal punto di vista qualitativo oggi gli spumanti metodo classico del Trentino ed in particolare le Riserve Trentodoc non hanno nulla da invidiare alle etichette più blasonate di Sua Maestà lo Champagne.
A Cimone, in attesa di una strada a lui intitolata, è ricordato con una targa
Veronelli era solito trascorrere un breve periodo di vacanza in Trentino ed in una di queste occasioni, 30 anni fa, di ritorno da una gita al lago di Cei, osservando in prossimità di Cimone alcuni terrazzamenti con i muretti a secco abbandonati e ridotti a degli “sgrebeni”, rivolto al prof. Spagnolli esclamò: “Francesco, rimboccati le maniche perché questo versante del Bondone potrebbe diventare la piccola Epernay del Trentino”.
Il suggerimento del vate del giornalismo enogastronomico, più volte ospite della famiglia Spagnolli nella baita di Cimone, fece scoccare in Francesco e poi nel figlio Alvise la scintilla per realizzare il progetto. E quel sogno oggi è realtà come ricorda la scritta su una lastra in marmo, tra i vigneti, che recita: “All’amico Gino Veronelli, per l’idea. E al tempo che l’ha maturata”.
Cosiccome – ha annunciato lo stesso prof. Spagnolli a Faedo – sta per avverarsi un altro sogno: l’intitolazione di una strada da dedicare a Veronelli: quella che da Cimone sale verso l’anfiteatro di vigneti alle pendici del Bondone.
La crociata per salvare la Piana Rotaliana dalle speculazioni edilizie
Tornando all’incontro di Faedo, Mario Pojer nel suo intervento ha ricordato la crociata ingaggiata da Veronelli negli anni Ottanta del secolo scorso per salvare dalle speculazioni edilizie la Piana Rotaliana, in particolare la zona dei Campazzi, culla del Teroldego. Tra gli attestati di riconoscenza del Trentino nei confronti di Veronelli va altresì ricordata l’iniziativa di Gianpaolo Girardi, ribattezzato l’Indiana Jones dei vitigni perduti, che ha dedicato il catalogo aziendale di Proposta Vini a colui che ha dato visibilità al mondo contadino contribuendo a creare le basi culturali per il riscatto del vino che, amava ripetere «è il canto della terra verso il cielo».
In alto i calici. Prosit!