Obiettivi dell’Amministrazione USA

Obiettivi dell’Amministrazione USA

Sono oltre tre mesi che sui media si leggono pareri, commenti e previsioni, spesso allarmistiche, sul futuro dell’economia mondiale. Tutto è iniziato con il famoso D-DAY (data in cui il Presidente USA Trump ha ufficializzato i dazi) e da lì in poi abbiamo sentito e letto dichiarazioni delle più disparate da parte di esperti o presunti tali, giornalisti e politici. Tutti intenti ad ipotizzare scenari apocalittici che a partire dal mese di aprile avrebbero coinvolto tutto il mondo. Secondo le citate previsioni, i dazi di Trump avrebbero provocato una crescita esponenziale dell’inflazione, una recessione mondiale e una disoccupazione record.

I principali dati macroeconomici disponibili ad oggi, riportati (nella tabella 1), non sono così negativi. Una maggiore chiarezza sarà possibile con i rendiconti al 30 giugno delle aziende quotate sui vari mercati, nel frattempo cerchiamo di fare un po’ di ordine in questa “mega confusione comunicativa” che è il frutto di interessi politici di parte più che da dati reali.

Oltre ai dati è necessario conoscere il programma di Trump e su quali elementi intende incidere per creare quel cambiamento evocato in più occasioni. Quali sono quindi gli obiettivi della nuova amministrazione USA:

1) ridurre il deficit commerciale (importare meno, stimolare i consumi di prodotti USA ed esportare di più);

2) ridurre la spesa pubblica che negli ultimi anni ha portato ad un gigantesco debito pubblico;

3) creare un sistema economico USA più competitivo e indipendente;

– Per quanto riguarda il deficit commerciale le strade individuate sono: avere un dollaro debole e imporre dazi alle importazioni. Ricordiamo che il PIL USA è formato per circa il 70% da consumi e che i 350 milioni di cittadini detengono il record di consumi pro-capite al mondo. Agire sul dollaro significa rendere meno conveniente l’acquisto di prodotti derivanti dall’estero e favorire i prodotti USA. Anche in passato abbiamo visto un dollaro debole quando si voleva rinforzare l’economia USA e quindi non è una novità, mentre a fare più “rumore” sono stati i dazi che hanno provocato l’ira dei governanti di tutto il mondo contro Trump. Se poi aggiungiamo i toni e le modalità comunicative del nuovo presidente USA, si completa il tutto. Va inoltre precisato che le somme derivanti dai dazi entrano nelle casse dell’amministrazione USA e questo dà la possibilità a Trump di utilizzare detti importi per portare avanti gli obiettivi del suo programma. Si sta arrivando ad una soluzione che prevede un mix di dollaro debole e da

– Ridurre la spesa pubblica è un altro elemento fondamentale, in quanto negli ultimi anni la politica economica adottata dai vari presidenti USA è stata molto espansiva e questo ha fatto crescere il debito pubblico a livelli record mai visti. L’azione è duplice, da un lato il taglio agli sprechi e dall’altro la riduzione della spesa militare. Come ben sappiamo gli USA sono tra i paesi fondatori della NATO (North Atlantic Treaty Organization – Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord) che è stata costituita nel 1949 ed ha lo scopo di garantire la sicurezza e la difesa dei suoi membri. Rispetto ai 23 membri attuali gli USA coprono i maggiori costi all’interno dell’organizzazione e ora Trump chiede agli altri paesi di incrementare il loro contributo. La formula concordata per la distribuzione delle spese varia di anno in anno ed è legata principalmente al PIL di ogni paese che ne fa parte. Come riportato (nella tabella 2), gli USA hanno contribuito nel 2024 con 968 miliardi alla spesa militare, mentre la somma dei versamenti dei Paesi europei e del Canada si attesta a 506,7 miliardi (l’Italia 34,5 miliardi). È evidente che Trump, per ridurre la pesa pubblica non può caricarsi di tutto questo sostegno alla NATO e quindi spinge per un riequilibrio dei contributi degli stati membri. Risultato ottenuto con il recente accordo, dal momento che si è deciso di incrementare la quota di partecipazione minima dal 2% al 5% del PIL di ogni Paese membro.

– Creare un sistema economico USA più competitivo ed indipendente è una sfida iniziata con un contrasto alla globalizzazione così come è stata attuata, perché, sostiene Trump, non tiene conto delle notevoli differenze tra i vari paesi, in particolare la Cina. Pensare di punto in bianco di cambiare il sistema economico globale così interconnesso com’è oggi, è un’operazione assai difficile, ma aspettiamoci iniziative che vanno gradualmente verso una deglobalizzazione. Il recente accordo sulle terre rare tra USA e Cina e la sostanziale mancanza di decisioni per la parte dello scambio commerciale tra i due paesi, è il segnale che entrambi hanno necessità uno dell’altro, ma che pur restando su lati opposti cercano di trovare soluzioni bipartisan almeno su temi importanti.

Di recente l’Amministrazione USA ha adottato una norma che va a detassare gli investimenti produttivi, un provvedimento importante a sostegno dell’industria che si integra con quello allo studio che prevede la riduzione delle imposte. L’intenzione di Trump è quella di finanziare questi provvedimenti, senza gravare sul debito pubblico, attraverso l’utilizzo delle entrate derivanti dai dazi.

Nel nostro articolo di aprile avevamo messo l’accento sul cambiamento che ci sarebbe stato da parte della nuova amministrazione USA e così è stato e lo sarà ancora per diversi mesi, importante è riuscire a capire le tendenze ed investire di conseguenza cercando di proteggere il patrimonio accumulato e cogliere eventuali opportunità, per questo motivo è auspicabile che ogni risparmiatore si rivolga a figure competenti e non si limiti ad una semplice amministrazione passiva dei propri risparmi.

Paolo Leonardi