Melisenda e Ludovico

Melisenda e Ludovico

Qualche mese fa feci un bel giro per i castelli della Val di Non e fui incuriosita nel conoscere la loro storia e le tradizioni di quei castelli sorti nell’alto medioevo, fra questi il Castel Nanno a cui vengono attribuite molte leggende e eventi storici realmente accaduti. Basti pensare che nel XVIII secolo vennero processate e condannate al rogo tre streghe, ne dà testimonianza una pietra con tre croci tuttora esistente in una stanza al pianterreno del castello. 

A questo maniero si attribuisce anche una triste leggenda d’amore che riporto di seguito.


I signori che nel medioevo abitavano il castel Nanno avevano come acerrima rivale la famiglia di Castel Sporo. I due casati si odiavano a tal punto da respingersi e ignorarsi anche quando venivano invitati alle signorili feste che si svolgevano presso altri castelli.

Caso volle che, presso il Castello di Belvesino (Castel Thun), si tenesse una festa alla quale furono invitate entrambe le famiglie antagoniste.

In rappresentanza del castel di Nanno partecipò la giovane Melisenda, per il Castel Sporo si presentò tal Ludovico.

Melisenda, quando le fu presentato il giovane, non provò alcun sentimento d’ostilità ed, anzi, a tavola si ritrovarono ben presto l’una accanto all’altro. L’imbarazzo in principio, generò un dialogo smozzicato. Un poco alla volta, la simpatia di Ludovico, fece crollare tutti i preconcetti di Melisenda ed i due presero a dialogare vivacemente. Ma la festa non poteva durare in eterno e così i due si salutarono in un modo così gentile ed affettuoso che le rispettive scorte armate rimasero di stucco.

Trascorse più di un anno da quell’incontro ma né Melisenda, né Ludovico avevano potuto dimenticare quella splendida giornata in cui i loro cuori avevano battuto all’unisono. Un anno è lungo da passare, ma quando la scintilla dell’amore infiamma due bei ciocchi di legna stagionata, il fuoco arde piano piano senza mai spegnersi. E l’amore di Melisenda e Ludovico, s’era irrobustito con la lontananza e rafforzato proprio a causa dell’inimicizia che divideva le due famiglie.

Ma accadde che un giorno Melisenda lasciò il suo castello per fare una passeggiata nel bosco vicino: ad un certo punto, presso un torrente, vide un uomo che procedeva nella sua direzione accompagnato da un cane. La ragazza sentì un tuffo al cuore e gli occhi le brillarono per la commozione. Turbata da quella visione, Melisenda si nascose tra i pini.

Era troppo tardi: l’uomo l’aveva già notata ed in breve la raggiunse.

No, Melisenda non si era sbagliata: era proprio lui, Ludovico! I due si abbandonarono a tenere carezze e a sguardi languidi. Il fato li aveva riavvicinati e godevano di quel meraviglioso momento ignari che il Guercio di Castel Nanno li stava spiando.

Ben presto il padre di Melisenda fu avvisato e la sua ira fu incontenibile. Mia figlia innamorata di un manigoldo? Non sia mai detto che una discentente della mia casata perda il suo tempo e il suo onore dietro all’erede di un contadinotto che s’è comprato la nobiltà allevando maiali e mungendo vacche!

Tu – esclamò il conte rivolto allo sbirro continua a tener d’occhio Melisenda e prendi con te tre uomini, al prossimo incontro nel bosco: catturali entrambi e portali al castello. Al resto penserò io!

Fu così che di lì a una settimana Melisenda e Ludovico caddero incolpevoli nella rete tesa dal malvagio conte, che quando ebbe tra le mani la coppia di innamorati, non volle sentir scuse, suppliche e preghiere. Fu lui stesso, con le sue mani, a murare Melisenda e Ludovico in due miniscule nicchie ricavate sotto la scala maggiore del castello. A lavoro terminato, nessuno avrebbe mai indovinato quale atroce dramma si stava consumando nelle mura del maniero. La leggenda termina raccontando di due stelle mai viste prima, che sfrecciarono nel cielo di Nanno la sera di due giorni dopo: s’abbassarono fino quasi all’orizzonte e lì si fermarono, una accanto all’altra, fino a fondersi in un’unica stella luminosa.

Melisenda e Ludovico erano morti, vittime del loro amore e della crudeltà del mondo.

Si dice che la notte del 3 Maggio, nell’ora esatta in cui i due erano stati sepolti vivi, si udirono distintamente i lamenti di una voce maschile e lo struggente pianto di una donna.

Ancora oggi, il ricordo di questi sfortunati ragazzi sembra essere rimasto imprigionato in questo luogo, si dice anche che nelle notti di Maggio, i pianti ed i lamenti riecheggiano cristallini per Castel Nanno a perenne ricordo di quell’amore impossibile tragicamente spezzato.

Questo mese ricordiamo anche la festa della mamma e come possiamo non dedicarle una bella poesia

Ancòi l’è la tó festa, cara mama,

vorìa farte i mé auguri cón él còr

però dovrìa tornar éndrìo cói ani

per strìnzerte e basàrte come alór.

Adèss che mi són grant mé savrìa bèl

butàrte i mé brazi ‘ntorno a‘l còl

ma ormài mi l’ò mparà, pù nó sé pòl,

da tanti ani té séi volàda ‘n zél.

Ma alòra mi farò come ‘na volta:

quan ch’èro su‘l tó braz e té disévi

davanti al capitèl che nó gh’è pù:

dai màndeghe ‘n basìn al nòs Gesù.

E mi có la manina mia dé pòpo,

tolévo ‘l baso fòr da la mé la bóca

e fasèndo quel èsil pìciol schiòch

él butàvo vèrs la crós come per zògh.

Éco, la mé man adèss la védet ?

Él schiòco dé ‘l mè baso l’àt sentì?

Auguri mama, ancòi l’è la tó festa,

mi sogno ancór che són én braz a tì.

Livio Merler

Annamaria Dragone