La leggenda dei monti pallidi

La leggenda dei monti pallidi

Ecco agosto che ci fa ammirare i nostri bei panorami estivi, ci fa contemplare le nostre cime e le escursioni ci fanno sempre scoprire posti nuovi e mozzafiato. La bellezza, l’arte e il bagaglio culturale trentino è invidiato da tutti i turisti. E le leggende rendono tutto questo più misterioso, avvolgendo di segreto ogni luogo e ogni posto.

Come ben sappiamo le Dolomiti sono conosciute anche con il nome di “Monti Pallidi”.  Questo grazie al colore chiaro delle sue rocce, diverso da quello di tutte le altre montagne.

Il colore chiaro rende le Dolomiti bianche come la superfice della luna.

A riguardo si dice che tanto tempo fa le Dolomiti non erano chiare come oggi, bensì scure e coperte di boschi.

Nelle sue valli vi abitava un giovane principe, che ogni notte restava sveglio per vedere la luna e sognava di raggiungerla. Un giorno finalmente vi riuscì e, approdato sul suolo lunare, incontrò la bellissima principessa della luna.

Fu amore a prima vista.

Il principe restò con lei lassù ma la luce della luna gli feriva gli occhi ogni giorno di più. Così tornò sulla terra insieme alla bellissima principessa. Sulla terra però la principessa non era felice. Quelle montagne così scure la spaventavano e poi le mancava il candore della sua amata luna.

Il principe non sapeva cosa fare e ogni mattina lasciava il suo castello per fare lunghe passeggiate nei boschi in cerca di una soluzione.

Un giorno incontrò per caso un ometto basso, con una lunga barba: era il re dei nani che, vedendolo così triste, gliene chiese il motivo.

Il re dei nani, sentendo la sua storia, gli disse di non preoccuparsi e che aveva una soluzione. Avrebbe riportato il sorriso sul volto della bella principessa, a patto che il principe concedesse a lui e ai suoi sudditi di poter vivere su quelle montagne.

Il principe acconsentì e il re gli promise che al primo plenilunio avrebbe rispettato la sua promessa.

Più passavano i giorni, più la principessa diventava triste e smunta.

Per fortuna però giunse finalmente la notte di plenilunio. Il principe vide i nani uscire dalle loro casette e raggiungere la cima delle Dolomiti. Subito un tremolio di fili luminosi si diffuse sulla costa delle montagne: erano i nani che filavano la luce della luna.

Andarono avanti tutta la notte fino a comporre dei grossi gomitoli argentei.

Con questi tessero un enorme coperta di luce di luna che ricoprì per intero le Dolomiti, donandole quel colore pallido che ancora oggi possiamo ammirare.

La principessa della luna, vedendo quello spettacolo, ritrovò il sorriso e decise di rimanere sulla terra con il suo sposo, per vivere lì, all’ombra delle meravigliose Dolomiti.


Il sapore del vento

Hai mai sentito il sapore del vento d’estate

quando ti sferza le labbra screpolate

e lascia dentro intenso, nella bocca asciutta

profumo di fiorume appena tagliato?

Hai mai dato ascolto al fischio birichino

che porta nelle sue braccia campane che suonano

per trovarci dentro, carezza al cuore di madre,

capricci insistenti di un bambino arrabbiato?

Hai mai sentito il sapore del vento smanioso

che rotola le nubi più nere

falena sulla pelle che sembra piangere

e le ossa che scricchiolano come faville?

L’hai mai sentito il sapore del vento d’autunno

col mosto che ribolle, castagne sulle braci

sulla porta di casa con i vecchi a raccontare storie

ed un cane spelacchiato che abbaia ai viandanti?

Ma tu, l’hai mai ascoltato il rumore del vento

mentre corre nel portico, nei viottoli del paese

quel fischio che racconta che sei vivo

e tranquillo tace al canto delle cicale?

Ma tu, l’hai mai sentito il sapore del vento

assaggiando piano un fiore appoggiato alla lingua

Lasciando che i pensieri si annebbino

e quel profumo forte ti faccia volare

ma tu, l’hai mai assaggiato il profumo del vento?

‘L saór del vènt

L’às mai sentù ‘l šaór del vènt de istà

qoànche ‘l te vìs’cia i làori screpolàdi

e ‘l lasa dent ‘mprendù, ‘n la boca sùta,

profumi de fiorùm che è giust seslà?

G’às mai dat òdia al fis’cio berechìn

che ‘l porta ‘n gàida ciòche che sdindòna

par gatàr dent, careze al cör de mama,

sgninfe ‘nzispade de ‘n putàt rabios?

L’às mai sentù ‘l šaór del vènt smanios

a svoltolàr le nùgole pu negre

pavèla su la pèl che par che piangïa

e i òsi che fà s’ciòchi ‘l pàr bolìfe?

L’às mai sentù ‘l šaór del vènt de aotùn

col mosto ancor sul bói, castègne sule brase,

su l’us de cà co i vèci a contàr storie

e ‘n cagn rebùf che sbàia a chiche pasa?

Ma ti, l’às mai scoltà ‘l remór del vènt

a córer via ‘n trà ‘l pòrtec’, gió ‘n le fràone

qoel zìfol che te dis che ès ancor vìo

e ‘l tase cèt a ‘l cant de le cigaie?

Ma ti, l’às mai sentù ‘l saór del vènt

tastando pian en fior pogià a la lengua?

Lasando che i pensieri i se smamìsia

e qoel profumo fòrt te fés sgolàr

ma ti, l’às mai sagià ‘l saór del vènt?

                                          (Giuliano Natali Diaolin)

Annamaria Dragone