Il giardino di rose di Re Laurino

Il giardino di rose di Re Laurino

A volte immagino le storie che i nonni raccontano ai loro nipoti, le leggende, gli aneddoti dei nostri paesi, delle nostre cime e continuo a immaginare queste storie che si tramandano di generazione in generazione, che arricchiscono la nostra conoscenza e ci fanno scoprire la magia dei posti in cui viviamo e che calpestiamo giorno dopo giorno. Ecco perché oggi voglio proporvi un’altra leggenda delle nostre Dolomiti. Buona lettura a voi e ai vostri figli o nipoti.

Hai mai sentito parlare dell’enrosadira? È una specie di magia che si ripete ogni giorno, all’ora dell’alba e del tramonto, quando i raggi del sole accarezzano le cime delle Dolomiti e le colorano di rosso. È un fenomeno spettacolare, che nei secoli ha ispirato tante bellissime storie.

La più famosa, di sicuro, è quella di re Laurino e delle sue magnifiche rose. Ora te la racconto!

Tanti anni fa sulla catena montuosa del Catinaccio viveva re Laurino, lo scaltro re dei nani, che passava le sue giornate scavando nelle viscere della montagna alla ricerca di gemme preziose. Tra i suoi tesori, il re possedeva una cintura magica, che gli permetteva di diventare invisibile.

Un giorno il re dell’Adige tenne una grande festa a cui invitò tutti i nobili, tranne re Laurino. Il re dei nani però ci andò lo stesso, indossando la sua cintura per non farsi vedere da nessuno. Alla festa c’era anche Similde, la bellissima figlia del re. Laurino se ne innamorò al primo sguardo e, sfruttando la sua invisibilità, la rapì e la portò con sé nel suo regno sul Catinaccio. Era così innamorato di quella ragazza che, con un incantesimo, ricoprì la montagna di un bellissimo manto di rose rosse (non a caso in tedesco il Catinaccio è conosciuto col nome di “Rosengarten”).  Il re dell’Adige però non restò con le mani in mano e con il suo esercito marciò verso il regno di re Laurino, deciso a liberare sua figlia.

Il re dei nani era sicuro che nessuno lo avrebbe scovato perché, grazie alla sua cintura, poteva rendersi invisibile ma non aveva tenuto conto di una cosa: ogni volta che si muoveva su quel giardino di rose, ne calpestava qualcuna. Così ai soldati del re bastò seguire il sentiero di rose calpestate per raggiungerlo, acciuffarlo e strappargli la cintura magica.

Al povero re dei nani non restò che arrendersi e consegnare al padre la bella Similde.

Prima di farlo però lancio una tremenda maledizione contro quel giardino di rose che lo aveva tradito. Disse: “Né di giorno, né di notte alcun occhio umano potrà più ammirarti”.

E così, dove un tempo c’erano quelle bellissime rose non restò che la nuda roccia.

Re Laurino però non aveva tenuto conto dell’ora del tramonto, che non è né giorno né notte. Per questo, ancora oggi, quando il sole scende dietro le montagne possiamo ancora ammirare il giardino di rose rosse che colora le cime delle Dolomiti.

La me tera

El Trentìn, la me tera de montagna

– giàzi, zénge, prài, boschi, valesèle

e fiori – ‘ndó ai me passi se compagna

musiche de useléti, campanèle

de cesate che prega «Avemaria!»

l’una co l’altra, e canti e canti

de zente che laóra ‘n armonìa,

rispetosa de Dio, streta ai so santi.

Dai monti ‘l bon udór de mili fiori

ghe porta a carezarla ‘l ventesèl,

e ‘l sol, fra ‘n mar de luci e de colori,

basi dorai ghe piove dal bèl cel.

E mili prài fioridi, ‘ndove zoga

rìi che i canta la storia de sta zent,

e sora i boschi cròzi che s’enfoga

al sol, e che la luna fa d’arzent.

E, da l’alba al tramonto, ‘n le contrade,

zenf che laóra, e che laoràndo spera

e vive. Eco ‘l Trentin, le me valade,

le pù bele d’Italia: la me tèra!

(Nando da Ala)


Fiori de montagna

Fiori picoi, scondùi, spaventai;

fiori a s-ciapi ‘n mèz ai prài,

ornai de perle de rosada, pieni de fret.

Encantà mi ve vardo…

Fiori, butài su da per tut,

senza che nessum ve coltiva,

diseme ‘n te na recia:

– Chi èl che se cura de voi? –

Diseme, soto voze, piam piam:

– Chi èl stà quel pitor

che ‘1 v’à ‘ncolorii sì bem,

de zento, de mili colori? –

Diseme: – Chi èl sta quel sartor

che ‘l v’à fat i vestiti,

con quei ricami, coi pizi

che i par de veludo o de seda?

– Diseme: – Chi èl che ‘1 v’à dat

quei rari profumi

che ‘mbàlsama l’aria

e che, geloss, el vent el se porta lontam?…

Fiori cossi bèi

che doné al prim che ve basa

na goza dolza de filtro d’amor

en cambi del pòline che lu ‘1 ve porta

e che ‘1 ve feconda:

– Chi èl che ‘1 v’à fati, sì boni de cor? –

Fiori, fiori, muti de voze,

co le boche averte,

come ‘n quadro de popi che canta,

continue a cantar la vossa canzom,

che mi cole rece no sento,

ma – som sicur! – l’è oraziom. –

No sté risponderme gnènt!

Fiori… soltant en piazer ve domando,

lasséme unir anca mì a la vossa

la me voze,

entant che ‘ncantà mi ve vardo…

                                             (Antonio Bruschetti)

Annamaria Dragone