Cambiamenti climatici

Cambiamenti climatici

La mano calda dell’Europa

Da un recente rapporto dell’Osservatorio di Legambiente si è stabilito che dal 2010 al 1° novembre 2021, nella Penisola sono 1.118 gli eventi estremi registrati sulla mappa del rischio climatico, 133 nell’ultimo anno, segnando un +17,2% rispetto alla passata edizione del rapporto. Record di caldo, piogge intense, grandinate estreme, gelate, violente trombe d’aria e alluvioni: i dati sull’accelerazione che questi fenomeni derivanti dai cambiamenti climatici hanno avuto negli ultimi anni sono sempre più preoccupanti.

Quello che la mappa e i dati del rapporto mettono in evidenza – dichiara Edoardo Zanchini Vice Presidente di Legambiente – è che i territori non sono tutti uguali di fronte a questi fenomeni, in alcune aree del Paese si ripetono con più intensità e creano maggiori danni e, dunque, occorre che siano le priorità delle politiche di adattamento. Al di là della messa in sicurezza del territorio, su cui si dovrà agire con la massima urgenza, nelle nostre zone gli effetti dei cambiamenti climatici vengono per lo più associati ai danni sulle coltivazioni di casa, sui nostri meleti e vigneti.

Siamo di fronte – evidenzia la Coldiretti – alle conseguenze dei cambiamenti climatici anche in Italia, dove l’eccezionalità degli eventi atmosferici è ormai la norma, con una tendenza alla tropicalizzazione che si manifesta con grandine di maggiori dimensioni, una più elevata frequenza di manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi e intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo, che compromettono anche le coltivazioni nei campi. Per affrontare i danni dei cambiamenti climatici – conclude Coldiretti – servono interventi strutturali e strumenti di gestione del rischio sempre più avanzati, efficaci e con meno burocrazia, ma soprattutto un impegno per frenare i cambiamenti climatici.

Varata nel 1962, la politica agricola comune (PAC) rappresenta una stretta intesa tra agricoltura e società, tra l’Europa e i suoi agricoltori. Ma la riforma che è stata approvata il 23 novembre scorso e che entrerà in vigore a partire dal 2023 e fino al 2027 rappresenta di certo una svolta storica sia per i contenuti e che per gli obiettivi che si è posta. Per far comprendere meglio i numeri che interessa questa ambiziosissima manovra basti pensare che coinvolge oltre sette milioni di aziende agricole esistenti in Europa con un budget di quasi 400 miliardi che costituisce oltre il 30% di quello complessivo, di cui alla nostra Italia ne verranno stanziati più di 50 miliardi.

Ogni Stato sarà tenuto a mutuare questi sostegni in base alle proprie condizioni territoriali e non solo, e dovrà stabilire le modalità con le quali perseguire i nove obiettivi prefissati:

  • garantire un reddito equo agli agricoltori;
  • aumentare la competitività;
  • riequilibrare la distribuzione del potere nella filiera alimentare e non;
  • agire per contrastare i cambiamenti climatici;
  • tutelare l’ambiente;
  • salvaguardare il paesaggio e la biodiversità;
  • sostenere il ricambio generazionale;
  • sviluppare aree rurali dinamiche;
  • proteggere la qualità dell’alimentazione e della salute.

La nuova Pac dovrà contribuire pertanto anche a dare una valida risposta ad una delle mission più attuali e non più procrastinabile nota come New Green Deal, in cui si stanno stabilendo le regole con i consumatori per sostenere la lotta contro i cambiamenti climatici. In tutto questo le Regioni avranno un ruolo primario per la distribuzione e il finanziamento delle risorse.

Anche in ambito assicurativo, a supporto di un sistema di gestione del rischio nel quale la frequenza con cui si sono succeduti negli ultimi anni gli eventi catastrofali, ha messo a dura prova i bilanci per andamenti tecnici sempre meno sostenibili di Compagnie di Assicurazione e di Fondi Mutualistici, si è voluto introdurre una importante novità che possa proteggere ancora di più dalla perdita di produzione. Per il conseguimento di quest’ultimo obiettivo finalizzato a contrastare le avversità catastrofali (alluvione, siccità e gelo/brina), ad ogni Stato membro sarà data la possibilità di costituire un fondo mutualistico attraverso l’accantonamento di un 3% dei pagamenti diretti del fondo del primo pilastro, prelevato coattivamente ad ogni azienda agricola. Il Fondo è previsto a partire da gennaio 2023, ma per gli intenti raggiunti nel recente Forum organizzato da Asnacodi, in presenza dei vertici Ismea e di rappresentanti del Mipaaf, si potrebbe già vedere una prima versione sperimentale durante il corso dell’anno. Se l’Europa tende la mano, in questo quadro di vera cooperazione, ci si auspica che le Compagnie rimangano ad aspettarla anche in quest’anno di transizione, non affrettandosi a progettare politiche di contenimento assuntivo con piani di recupero di quella marginalità ormai perduta da tempo, ma piuttosto tendendo ancora una volta la loro mano alle aziende, alla ricerca di un rapporto più esteso e più fidelizzato con i propri Assicurati, con l’auspicio del tutto fondato che questo fondo riuscirà a contenere una parte significativa delle perdite.

Di certo vista l’adesione obbligatoria, questo strumento consentirà l’ampliamento della platea delle aziende assicurate, tenuto conto che in Italia quelle che attualmente ricorrono alle coperture assicurative e ai relativi fondi sono tra le 75 e 80 mila e non superano pertanto il 10% di quelle complessivamente esistenti sull’intero territorio nazionale. In questo modo ogni anno si potrà accantonare circa 330-340 milioni di euro.

Nonostante non hanno tardato ad arrivare le prime critiche ai promotori di questa Pac, tacciati di nascondersi nel “greenwashing” ossia in un finto ambientalismo,  l’accordo punta, per ora sulla carta, verso un’agricoltura verde e sostenibile anche attraverso l’introduzione di una condizionalità più stretta, ossia di tutte quelle pratiche obbligatorie che ogni agricoltore deve osservare per poter beneficiare dei contributi che ne derivano, come ad esempio il rispetto dell’ambiente o la conservazione di una parte di terreni destinati alla biodiversità.

Di certo siamo di fronte ad un grande progetto di ristrutturazione culturale ancor prima che ambientale e/o economico/finanziario, in cui ognuno per la sua parte è tenuto a dare il proprio contributo e tanto più chiare devono risultare per tutti le conseguenze di un fallimento, quanto più ci si sforzerà per scongiurarlo. L’occasione è quella giusta e se non riusciamo a rendercene conto, a rimetterci ancor prima delle Compagnie, sarà l’uomo prigioniero del suo ambiente.

Benedetti Romano – Agente Procuratore

Redazione