Dalla dipendenza alla consulenza

Dalla dipendenza alla consulenza

Il risparmiatore con le sue perplessità ed il suo possibile cambiamento

Nell’articolo del mese scorso abbiamo analizzato la situazione generale, con alcuni riferimenti alla sua evoluzione degli ultimi anni.

Abbiamo evidenziato come ci si trova difronte a due “mondi” contrapposti: da un lato il “mondo” dei risparmiatori e delle aziende, dall’altro il “mondo” delle banche, delle società di gestione di patrimoni e delle assicurazioni.  Purtroppo, questi due mondi fanno fatica a trovare un linguaggio comune e costruttivo, nonostante questa sia la condizione base per avere una relazione condivisa e duratura che vada ad ottimizzare le risorse disponibili.

Le crisi e gli shock finanziari che hanno coinvolto i mercati in questi ultimi 20 anni, non hanno di certo aiutato, inoltre stiamo vivendo un periodo caratterizzato da una notevole velocità nel cambiamento del peso che alcuni Paesi hanno nell’economia globale.  Non dimentichiamo infine la costante ed irreversibile riduzione delle prestazioni previste in futuro dal settore pubblico nei confronti della popolazione per effetto del forte indebitamento.  L’unico modo per superare questa distanza è la Consulenza, la Vera Consulenza, cioè quel supporto dato da una struttura Indipendente, non di parte, che ti può dare un consiglio libero da logiche commerciali e che è in grado di consigliare quello che è meglio per il cliente e non quello che conviene alla banca proponente. Naturalmente anche il risparmiatore/azienda deve fare un passo in avanti acquisendo maggiore CONSAPEVOLEZZA della propria situazione economica e di ciò che intende fare in futuro. Non è più possibile “delegare alla cieca” la gestione del proprio capitale accumulato, oppure pensare che l’unico modo per proteggerlo sia quello di lasciarlo sul conto corrente. Questo perché ogni singolo investimento ha sempre e comunque un suo rischio ed una sua remunerazione.

I due elementi che incidono nei risultatati di un investimento finanziario sono: la durata e la propensione al rischio. Sulla durata c’è tanto da fare dal lato risparmiatore. Probabilmente tutto è nato quando in passato il rendimento del BOT con scadenza entro l’anno solare era molto simile ai titoli con scadenze più lunghe e quindi il risparmiatore italiano non ha acquisito un corretto parametro di valutazione. Inoltre, gli operatori hanno spesso illuso il risparmiatore dicendoli che ci sono investimenti sicuri (come le proprie obbligazioni bancarie o i titoli di stato) ed altri rischiosi.

La realtà è ben diversa, infatti non esiste il bianco ed il nero, ma è tutto grigio. Questo perché ogni singolo investimento ha sempre e comunque un suo rischio ed una sua remunerazione. Posso correre un rischio derivante da chi detiene il mio capitale (rischio emittente), oppure un rischio derivante dalle oscillazioni provocate dalla domanda e offerta giornaliera (rischio di mercato), ma esiste anche un rischio di perdita del potere d’acquisto negli anni delle somme accantonate con sacrificio. I dati statistici del passato, indicano chiaramente che il rendimento è positivamente correlato con il tempo. Cioè con il crescere della durata dell’investimento, purché ci sia qualcuno che professionalmente lo controlla e lo gestisce, maggiore è il rendimento finale. Per fare questo però devo sapere cosa voglio fare con quel capitale e devo aver fatto una seria pianificazione delle mie risorse, altrimenti non posso destinare somme a lungo termine correndo il rischio di averne necessità prima.

Per quanto riguarda la propensione al rischio il tema è molto complicato, perché impatta sull’emotività di ogni singolo investitore. Emotività che potrebbe essere anche condizionata da esperienze negative passate. Sì, perché capita molto spesso che il risparmiatore medio stia per anni sul conto corrente, poi stimolato dai media e da altri organi d’informazione o dal passaparola, si “butta a pesce” in un investimento che spesso avviene dopo una fase di boom (alto rendimento dei mesi precedenti).

Se controlliamo i flussi d’ingresso e di uscita dai mercati, si riscontra sempre un aumento delle somme investite quando il mercato va molto bene ed i prezzi sono alti, mentre quando il mercato è in forte calo ci sono le fuoriuscite ed i disinvestimenti emotivi causati dalla paura di perdere tutto. Se il comportamento di un investitore è questo le cose sono due:

  1. al cliente è stato assegnato un profilo di rischio errato e quindi non ha fatto un investimento giusto per lui;
  2. chi gli ha proposto l’operazione non è riuscito o non ha voluto spiegare bene le cose.

La scarsa propensione al rischio è spesso legata alla non conoscenza di alcuni aspetti economici e finanziari che invece un investitore consapevole deve sapere. La volatilità nel breve termine è normale perché dipende dal fatto che sul mercato operano diversi soggetti e tutti con obiettivi diversi. Il prezzo di mercato non è sempre allineato con il valore reale dell’investimento, perché il primo è il risultato della contrattazione in quel preciso momento e quindi dipende esclusivamente dalla domanda e dall’offerta. L’investimento invece è legato al bene o alla società su cui ho investito.

Un investitore privato NON deve speculare, ma deve investire. Questa differenza è fondamentale perché il primo riguarda operazioni ad alto o altissimo rischio, mentre gli investimenti, pur soggetti nel breve ad oscillazioni, si basano su un’attenta ponderazione tra il rendimento ed il rischio.  

Nella speranza di aver fornito elementi di chiarezza con riferimento al complesso settore degli investimenti, anticipo che nel prossimo articolo analizzeremo quali sono le regole fondamentali per effettuare una seria pianificazione finanziaria.

Paolo Leonardi