Aspettando il Natale

Aspettando il Natale

Pillole di storia locale

Alla fine di novembre si cominciava già a respirare l’aria del Natale.

I bambini, dopo la scuola, andavano a raccogliere il muschio necessario per la costruzione del presepio prima che la neve lo coprisse il terreno con il suo bianco mantello. I papà, invece, adocchiavano qualche bella piantina da tagliare abusivamente. Sarebbe servita come albero di Natale.

Questa festa era vissuta intensamente e intimamente. Non era, come ora, la festa dei mercatini e del consumismo.

Per i bambini, dicembre era il mese più bello. Era vissuto in attesa della venuta del Bambino Gesù (allora Babbo Natale non esisteva).

Il giorno cinque in alcuni paesi arrivava san Nicolò ed in altri qualche giorno dopo, il 13 dicembre, passava Santa Lucia. La vigilia i piccoli mettevano sul balcone della finestra un piatto, contenente farina e sale per l’asinello che accompagnava la Santa. 

Erano sicuri che il mattino seguente lo avrebbero trovato colmo di noci, fichi secchi, arachidi, una stecca di mandorlato e magari qualche mandarino.

L’otto dicembre, festa della Madonna Immacolata, era giorno di vacanza.

S’incominciava già a respirare un clima natalizio.

Fra pochi giorni sarebbe iniziata la novena durante la quale, oltre alla recita del Rosario, si cantavano inni invocanti la venuta di Gesù.

All’uscita della chiesa, imbacuccati per ripararsi dal freddo, i fedeli si fermavano qualche minuto per scambiare qualche convenevole e poi tutti, di corsa, a casa, a riscaldarsi attorno al focolare.

Anche se le case erano piccole, si trovava sempre un angolo per sistemare  il presepio e l’abete.

La preparazione quest’ultimo era lasciata ai bambini o ai ragazzi, magari caudiuvati da una persona adulta.

Non esistevano gli alberi natalizi di plastica. Tutto era rigorosamente naturale. Del reperimento della pianta si incaricava il padre che già qualche mese avanti aveva messo gli occhi sull’arboscello giusto.

Alcuni giorni prima della festa, al calar delle tenebre, egli, furtivamente, si recava nel posto stabilito e con un netto colpo di roncola recideva la pianta.

Poi, quatto quatto, per sfuggire al controllo del guardaboschi, particolarmente all’erta in questo periodo, si portava a casa il corpo del reato.

Una volta in cucina, orgoglioso, mostrava a tutti, come un trofeo, il risultato del suo lavoro magnificando la bellezza ed i pregi della pianta tagliata.

L’addobbo spettava ai bambini. Nei giorni precedenti avevano già preparato le decorazioni.

Erano confezionate usando cose molto semplici: noci ricoperte di carta stagnola, cartoncini colorati, mandarini, carruba e qualche candelina.

La capanna del presepio era ricavata da un ciocco o da qualche radice opportunamente sagomata. Le statuine erano poche e spesso di semplice cartone. Alle volte c’erano  solamente quelle essenziali come Maria, Giuseppe, Gesù Bambino e un pastorello. Immancabile era, invece, il laghetto preparato con una carta azzurra ricoperta da un vetro residuo di qualche bottigia rotta o di qualche finestra infranta.

Ma a quei tempi tutto era bello e contribuiva ad allietare la dolce attesa del Natale. La mamma, per quella festività, oltre al pranzo, avrebbe preparato anche il dolce tipico: lo “zelten”.

La vigilia era giorno di digiuno e astinenza e pertanto non si poteva fare il cenone.

Durante il pomeriggio le donne e gli uomini si accostavano al Sacramento dela confessione.

All’imbrunire tutti andavano in chiesa per il vespro della Vigilia e poi a casa per la cena “da magro”.

All’alba del giorno 25 bisognava andare  alla messa prima per accostarsi devotamente alla comunione. La messa granda era celebrata con molta solennità e partecipazione. Nelle chiese venivano allestiti dei grandi presepi che, in quel periodo, diventavano  meta di frequenti visite e di devozioni particolari. Accanto all’altare era posta invece una statua di Gesù Bambino.

Il pomeriggio era dedicato agli incontri di cortesia con gli amici e parenti per lo scambio degli auguri e dei regali. Ai bambini queste visite piacevano molto perché erano certi che Gesù Bambino avrebbe lasciato dei doni anche dai nonni o dai  padrini.

Il 31 dicembre, San Silvestro,  era giorno lavorativo e  assomigliava a tutti gli altri.

Solo dopo cena ci si ritrovava presso parenti o amici per aspettare che, alle ventitrè e trenta, la campana grande, con mesti rintocchi, annunciasse la partenza dell’anno vecchio portandosi dietro il sacco con le  brutte cose successe durante l’anno.

I nottambuli più accaniti restavano svegli fino a mezzanotte  aspettando che il suono a distesa di tutte le campane comunicasse l’inizio di  quello nuovo. 

A questo punto era d’obbligo festeggiare l’avvenimento con un brindisi a base di vino brulè.

Dopo gli auguri di rito, felici e contenti,    se ne tornavano tutti a letto convinti, che, come il “Venditore di almanacchi” descritto da Giacomo Leopardi,  l’anno  entrante sarebbe stato certamente migliore di quello appena terminato.

Buon Natale!

Piero Turri