L’indemoniato di Castel Belfort

L’indemoniato di Castel Belfort

Nella seconda meta del 1400 il castello di Belfort, nella valle dello Sporeggio, era abitato dal cavaliere Cristoforo Reifer.

Per le sue stravaganze, per i periodi di depressione psichica, per la sua mania di persecuzione da alcuni era ritenuto pazzo, da altri addirittura posseduto dal diavolo.

Quando, nello splendore del maggio, a Termeno, il Reifer, cinquantenne, con sfarzo inconsueto, impalmò la diciannovenne Ursula Künigl, amata figlia del castellano di Ehrenburg, nessuno l’aveva informata delle tendenze schizofreniche del cavaliere di Belfort, nessuno le aveva palesato che aveva tentato di strangolare la sua seconda moglie Anna Khuen Belasi, né che aveva fatto morir di crepacuore la prima sposa e, men che meno, che, dopo essere stato rinchiuso nel castello di Gufidaun, era stato esorcizzato nel convento di Sabiona presso Bressanone, presente lo stesso principe vescovo di quella città.

Tutti glielo avevano descritto come splendido cavaliere, amante delle feste e del fasto. Infatti le nozze confermavano l’opinione ch’essa s’era fatta di lui: una corte di cavalieri eleganti, danze in palazzo e in piazza, giocolieri e menestrelli. E le feste si erano protratte anche a Belfort, raggiunto con uno dei cortei più sfarzosi che la valle avesse mai visto. Per più giorni giochi e cacce e tornei rallegrarono gli ospiti.

Ma ecco che poco dopo il diavolo che tormentava il Reifer si fece nuovamente vivo: violenze da non dire alla servitù, pretese innominabili dalle giovani che per un motivo o per l’altro dovevano salire al castello, percosse alla moglie con una cinghia ferrata, sospetti d’essere avvelenato, giornate intere senza spiccar verbo, rare uscite dalle mura sempre accompagnato dai bravi, armato di mazza ferrata e guai a chi lo avesse avvicinato!

La giovane sposa fu presa dallo spavento. Essa mandò al padre in Pusteria e al cognato Ildebrando di Weineck segreti messaggi per informarli della sua misera sorte. Essi, con il conte Federico di Thun e l’approvazione del duca Sigismondo Tirolo, concertarono il modo per strappare Ursula allo sposo nuovamente impazzito. Ma il castello aveva il portone sempre sprangato e vigilato giorno e notte da armigeri che dagli spalti segnalavano ogni movimento.

Bisognava corrompere qualcuno all’interno del castello, perché ad un segnale convenuto aprisse la porticina segreta. Si pensò alla cuoca a cui il castellano aveva rotto un braccio in un impeto d’ira. Essendo nata nel castello, ne conosceva ogni segreto.

S’era a Quaresima inoltrata. A Cristoforo fu sussurrato che in fondo alla torre, mentre nella Pieve di S. Vigilio a Spormaggiore si stava cantando il “Passio” pasquale, era stato nascosto uno scrigno ricolmo di monete d’oro, di monili e oggetti preziosi d’inestimabile valore.

Era custodito in continuità da forze occulte che avrebbero annientato chiunque si fosse avvicinato al tesoro.

Unico momento nel quale abbandonavano la guardia era a Pasqua, quando nella chiesa pievana si stava cantando il “Passio” pasquale.

Cristoforo si fissò sul pensiero di trovare e impossessarsi del tesoro nascosto.

Da solo non poteva scavare, non ce l’avrebbe assolutamente fatta, e perciò chiamò ad aiutarlo gli armigeri fedeli. Scava e scava, suda e suda, alla fine i picconi toccano qualcosa di metallico.

Il Reifer è preso da folle contentezza. Promette lauti premi perché si faccia presto, prima che termini il “Passio” e tornino i demoni a guardare il tesoro. Ma quando la buca fu approfondita ci si accorse che invece d’un forziere c’era un mucchio di rottami di ferro arrugginito, vecchi spadoni spezzati, pezzi di corazze, ferri di cavallo, pentole rotte . . . altro che tesoro!

Risalì furibondo nelle sue stanze; ricercò Orsola per picchiarla ancora col “santo”, come lui chiamava la sua cinghia di cuoio rinforzata da borchie e strisce di ferro. Ma Orsola, la cuoca e la servitù erano ormai lontani dal castello, condotti nelle lontane terre di Ehrenburg.

Cristoforo Reifer finì in prigione per sentenza del duca tirolese. Liberato dopo anni per clemenza ducale, ritornò a Belfort, ma era diventato lo spettro di se stesso; la coscienza lo rodeva dentro, la gotta lo tormentava, il vecchio demonio ogni tanto lo possedeva ed a nulla giovavano le aspersioni d’acqua benedetta che gli profondeva il santo pievano di Spor. Si spense, sessantenne, maledetto da tutti ed il suo spirito fu per molti anni condannato a vagare sulle mura del castello, quando le notti cadevano profonde: e le sue grida d’aiuto si potevano udire anche nei più remoti recessi dei boschi vicini.

La sorgente dell’acqua santa

La lunga processione si snodava salmodiando su e giù per i dossi coltivati che si stendevano ai piedi di Spormaggiore. Gli sguardi dei fedeli erano puntati sulla statua della loro Madonna che, traballando e ondeggiando, guidava l’interminabile teoria di Chierichetti, coscritti, donne, uomini, vecchi e bambini. Era successo che la gente di Spormaggiore non riusciva più a sopportare gli improvvisi e secchi boati che provenivano da una sorgente poco distante. –Dev’essere il Diavolo che bestemmia contro Dio… (sussurravano le vecchiette all’ombra fresca della chiesa)… e solo la Madonnina è in grado di fare la grazia e di liberarci da quel flagello! Anche il parroco, dopo lunghe insistenze, si disse d’accordo e in quattro e quattr’otto la processione venne organizzata. Accadde però che, giunti in prossimità della violenta sorgente, la portantina della Madonna ebbe un brusco e improvviso sobbalzo e l’anello del simulacro si staccò dal dito di legno e cadde nella roggia! Quelli di Spormaggiore, dopo un primo istante di stupore e di smarrimento, si ripresero ben presto e si considerarono soddisfatti. Infatti… – rumori o non rumori (si dissero) – adesso l’anello benedetto ha santificato quest’acqua e ha fatto fuggire il Maligno! E da quel giorno la sorgente venne chiamata «dell’Acqua Santa».

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