Il vin de la neu

Il vin de la neu

Radici e obiettivi di un giovane winemaker noneso – friulano

Da questo mese “il Melo” si arricchisce della rubrica di enogastronomia, un nuovo tassello che consente al mensile di rappresentare al meglio il territorio anche su questo importante comparto di economia e di qualità del vivere per residenti e ospiti delle valli di Non, Sole e Rotaliana. Siamo onorati di poterci avvalere, per questa pagina, della collaborazione di una penna di eccellenza, Giuseppe Casagrande, pluripremiato giornalista trentino di caratura internazionale e con vasta competenza nel settore come documentiamo nel curriculum allegato. A lui il più cordiale benvenuto nella famiglia de “il Melo” con il grazie della Redazione e dell’Editore per la sua disponibilità.                                                (Giacomo Eccher)


Curiosità e grande interesse ha suscitato l’assegnazione ad un’etichetta della Val di Non del riconoscimento più prestigioso (la coccarda di platino) che ogni anno il Merano WineFestival conferisce ai vini che superano il punteggio di 96 centesimi. Quest’anno i vini in concorso erano 6.500. Tra i 25 premiati la giuria internazionale è rimasta addirittura meravigliata assaggiando un vino bianco Piwi resistente alle malattie fungine, lo Johanniter in purezza, dal nome emblematico: il “Vin de la Neu”, parola dialettale della Val di Non che significa il “Vino della Neve”.

Nasce in alta quota (mille metri), nel regno di Melinda, a Coredo-Predaia per la precisione, e lo produce un giovane winemaker trentino-friulano: Nicola Biasi. Trentino per via del padre, Oscar, lui pure enologo, che rientrato in tenera età dall’Australia dove erano emigrati ad inizio Novecento i genitori, ha lasciato giovanissimo la Val di Non per trasferirsi in Friuli, a Cormòns, al timone della tenuta Roncada. Friulano per via della madre originaria di Cividale, l’antica Forum Julii, che ha dato il nome a tutta la regione, un tempo capoluogo del ducato longobardo, della Marca friulana e capitale del Patriarcato di Aquileia.

Un curriculum prestigioso: Friuli, Toscana, Australia, Sudafrica

Nato a Cormòns nel 1981, Nicola Biasi vanta un curriculum quanto mai prestigioso. A soli vent’anni, con il diploma di enotecnico in tasca, acquisisce importanti esperienze lavorative presso le aziende friulane Jermann, Roncada e Zuani a San Floriano del Collio, quest’ultima di proprietà della famiglia Felluga. Nel 2006, con la voglia di scoprire sempre di più il mondo del vino, lascia il Friuli per trasferirsi in Australia. Qui vive l’esperienza di cantiniere nell’azienda Victorian Alps di Gapsted ampliando le sue conoscenze enologiche, soprattutto nell’ambito della vinificazione del Syrah e dei vini bianchi in riduzione.

Tornato in Italia si sposta in Toscana a Castellina in Chianti, dove inizia la sua esperienza nella vinficazione del Sangiovese come capo cantiniere presso l’Azienda Marchesi Mazzei. All’inizio del 2007 vola in Sudafrica dove come enologo presso la cantina Bouchard Finalyson di Walker Bay perfeziona le pratiche di vinificazione, questa volta dedicandosi al Merlot, al Cabernet Sauvignon e al Cabernet Franc.

Da maggio 2007 assume la direzione dell’Azienda San Polo, nuova tenuta della famiglia Allegrini a Montalcino: qui segue con successo sia la parte agronomica che le attività in cantina, accrescendo progressivamente la sua competenza sul Sangiovese. A partire dal gennaio dell’anno successivo, la famiglia Allegrini gli affida anche la responsabilità enologica dell’azienda Poggio al Tesoro di Bolgheri. Qui Nicola ha modo di mettere in pratica quanto appreso durante le sue esperienze all’estero sulle tecniche di vinificazione dei vitigni internazionali.

A Coredo nel vigneto dei nonni la scelta biologica targata Piwi

Nel 2016 decide di intraprendere l’attività di libero professionista e nel 2020 fonda la “Nicola Biasi Consulting” che vanta consulenze in Toscana, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche e Trentino. Ma la passione per la vigna, trasmessagli dal papà, riemerge e così nasce il progetto di creare nel vecchio vigneto dei nonni, in Val di Non, a Còredo, un vino particolare, il “Vin de la Neu”, un vino bianco biologico da uve Johanniter (incrocio di Riesling e Pinot Grigio) resistenti agli attacchi fungini. Dopo 20 giorni di fermentazione matura per 11 mesi in barrique di rovere francese e poi per altri 14 mesi viene affinato in bottiglia prima della commercializzazione.

Poche, rare e preziose, le bottiglie prodotte: meno di un migliaio

Poche le bottiglie, rare e preziose (per la precisione 491 bottiglie più 30 magnum nell’ultima annata) prodotte su un piccolo appezzamento a fianco della casa avita dove la chimica è bandita a beneficio di una reale viticoltura sostenibile. Una viticoltura eroica che regala un vino intrigante dal colore brillante con riflessi verdognoli e dal bouquet agrumato (bergamotto) con eleganti note floreali (biancospino, sambuco, maggiorana) ed erbacee (fieno appena tagliato). In bocca è vibrante, sapido con un finale piacevolmente minerale. Un vino destinato a reggere il confronto con la longevità.

Tornando al discorso sui Piwi (“Pilzwiderstandsfähig” in tedesco), Nicola Biasi sostiene che la naturale resistenza di questi vitigni alle malattie fungine consente di ridurre drasticamente i trattamenti eliminando così la chimica di sintesi, salvaguardando altresì i suoli e le risorse idriche. Proprio per questo gli esperti sono convinti che saranno questi i vitigni e i vini del futuro. Per ora la scommessa di Nicola è vinta come ha confermato il recente prestigioso riconoscimento al Merano WineFestival. Riconoscimento che segue di pochi mesi l’Oscar di miglior giovane enologo d’Italia ricevuto in occasione della “Vinoway Wine Selection” 2021 e a giugno l’ambito premio “Cult Oenologist” 2021, riservato ai sette migliori enologi italiani. Il più giovane di sempre a ricevere questo riconoscimento. In alto i calici. Prosit.


(*) Giuseppe Casagrande, decano dei giornalisti enogastronomici trentini, per oltre trent’anni ha curato su un giornale locale “L’angolo del buongustaio” poi diventata la rubrica ‘Pantagruel’. Dal 2008 per quasi tre lustri ha diretto “Papageno”, rivista in italiano e tedesco che si occupa di cultura enogastronomica in quel vasto bacino che si identifica nella vecchia Mitteleuropa: Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Austria, Baviera, Ungheria, Slovenia e Croazia. In 50 anni di carriera ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti tra cui la “Penna d’oro”, i premi ‘Delta del Po’, ‘Scandiano’, ‘Città di Noto’, e del prestigioso premio “Franciacorta” alla carriera “per aver raccontato e promosso con sapienza e maestria l’enogastronomia italiana”. Negli anni Novanta ha fondato la Confraternita dello Smacafam (piatto tipico trentino altrimenti destinato all’estinzione) e nel Duemila la Confraternita di Bacco, sodalizi di cui è presidente. Nel 2011 gli è stato assegnato il premio ‘Francesco Fontana – Trofeo Leone di San Marco’ per la valorizzazione della cucina veneta per la squisita sensibilità nel raccontare il mondo enogastronomico veneto e mitteleuropeo e per l’innata capacità di emozionare il lettore con una scrittura che affascina per la qualità e la ricchezza dei contenuti”. è accademico dei vini sloveni, nonché commissario europeo nei più importanti concorsi enologici europei. Nel 2004 il Comune di Porec-Parenzo (Croazia) gli ha conferito la cittadinanza onoraria per aver contribuito a lanciare il turismo enogastronomico in Istria al termine della guerra nei Balcani.

Giacomo Eccher