Giancarlo Emer

Giancarlo Emer

Il dirigente calcistico che viene dal Bromball

E’ ottobre ma fa ancora caldo, molto caldo, mentre seduto al tavolino della veranda, del bar chiuso per turno, aspetto Giancarlo EMER.

Abbiamo concordato quel luogo e, anche se chiuso o forse proprio perché è chiuso, crediamo di poterci concentrare bene uno sull’altro, durante il dialogo che ci attende.

Arriva puntualissimo, (scoprirò poi che è una sua prerogativa) con l’auto pulita e in perfetto ordine. Non ci conosciamo ma, ho saputo dai giornali, che poche settimane fa è stato insignito del prestigioso diploma di benemerenza da parte della Federazione Italiana Gioco Calcio e della Lega Nazionale Dilettanti. 

Mi stringe la mano, mi fissa con i suoi occhi vivaci ed attenti e dopo essersi seduto, guardandomi in viso, mi chiede se ho domande da fare. Mi sento un poco inadatto a parlare di uno sport del quale conosco ben poco. Ma il disagio dura un attimo. Solo il tempo di ascoltare il racconto che, partendo dai primi anni della sua attività dopo il lavoro (è infatti un ex dipendente in pensione Mondadori) mi svela un mondo fatto di amicizie e rapporti sportivi e personali che durano da quarant’anni. Fin da giovane, ha sempre avuto il pallino dell’organizzatore di gruppi. Mi dice che il suo battesimo, se così si può dire di organizzatore, contrariamente a quanto si possa pensare, non è venuto dal calcio, di cui peraltro è ottimo direttore sportivo della realtà PREDAIA, ma dal Bromball.

Ha iniziato infatti nel lontano 1985 a organizzare la squadra di Dermuloper il torneo della Merlonga a Smarano e poi del Nanno, avendo da subito risultati eccellenti.  Partendo poi con il calcio. Ma come mai, ti chiedi, tanti successi in queste attività di squadra dove quello che devi far emergere è il coordinamento delle forze del gruppo, la coscienza dello stesso gruppo come fosse una sola unità, la consapevolezza e fiducia reciproca dei componenti. 

Complicato? Certo che sì. Ma per uno come Giancarlo, sensibile, attento, ordinato pieno di senso di abnegazione, è una cosa che riesce facile. Sono questi gli ingredienti che ha messo in gioco e tirato fuori in tutta la sua vita di dirigente, coordinatore inventore di iniziative. Mi emoziono quando lo sento descrivere la meticolosità che mette in ogni partita di calcio, dove vuole sapere e verificare che tutto sia in ordine. Campo, magliette, calzini tutto! Mi sembra di ascoltare una madre di famiglia, che vuole sapere i figli ordinati e ben presentabili al mondo. Eh sì, come un papà-fratello lo sentono in molti. Sono stati presi per mano da lui e portati avanti nelle squadre, dove come in una grande famiglia, hanno trovato rispetto, affetto, comprensione; scontro pure, quando necessario.  Colpisce l’ambizione con cui descrive i risultati ottenuti e di cui qui non parliamo. Quelli sono conosciuti soprattutto agli addetti ai lavori ma ai non esperti, dicono poco. Di sicuro, quello sì, ottenuti con pochi soldi e tanto impegno. Ma quali erano invece le motivazioni che spingevano a fare così tanti sacrifici, questi giovani che dopo il lavoro o la scuola, faticavano negli allenamenti, nelle riunioni serali, nelle trasferte e nelle partite? Già quali erano?

La stima verso chi, davanti a loro, dava l’esempio, la ferma convinzione e la sicurezza incondizionata di potercela fare. Era la voglia di riscattare una generazione diciamo pure affamata di dignità e che voleva dimostrare al mondo, quello che valeva. Mettendosi nelle mani di chi dava loro fiducia. E in questo lavoro di “estrazione emotiva” il Giancarlo è stato ed è un grande maestro. Ha una diplomazia e una conoscenza del campo calcistico di cui va orgoglioso e che fa comprendere a chi lo ha di fronte, che sa sempre di cosa sta parlando; sia dal punto di vista tecnico che organizzativo. Sono queste le caratteristiche che fanno di un dirigente, un vero trascinatore, uno che si fa voler bene. Perché sa bene le storie di tutti, le angosce, i problemi e le aspettative dei singoli componenti della squadra e per questo ha la fiducia e la stima di tutti.  Anche a livello di contatti con l’organizzazione calcistica e tutto l’indotto che la circonda, sa farsi stimare e voler bene. Sorride quando mi racconta che, al ritorno dal viaggio a Roma, dove è stato per ritirare il premio, parlando con un dirigente dell’Alto Adige, cita a memoria i nomi dei giocatori della vecchia squadra di questo suo collega, il quale invece li ha in parte dimenticati! Con tale precisione che il collega, in un italiano un poco stentato e dalla pronuncia tipicamente altoatesina, gli chiede “ma come fai a ricordare tutti questi ragazzi?” La risposta la hai lì davanti a te, dico io; nei suoi occhi che assimilano gli eventi, perché vedono nel profondo delle persone. Per questo motivo, quelli che ha conosciuto e con cui ha condiviso un percorso, sono conservati nella memoria a lungo termine; quella che porti dentro di te per tutta la vita. Legami fatti di emozioni condivise, di difficoltà passate stringendo i denti tutti assieme, di vicende familiari che hanno attraversato l’organizzazione calcistica lasciando sorrisi, fiori e talvolta ferite e lacrime.  Ricorda con commozione il legame che aveva con lo scomparso Nicola Bonn, con cui ha condiviso tanti momenti di sport e di vita, fino alla prematura scomparsa. Vuole citare la sua amicizia con Martino Dell’eva, cuoco e ristoratore, che gli ha sempre dato appoggio nelle iniziative spesso non comprese da altri. Quando ad esempio, la sua squadra, da cenerentola, della categoria, nel 1999  ha vinto il torneo Città di Bolzano.  Comprendi così davvero che i suoi ragazzi riescono, proprio per riconoscenza e abnegazione verso di lui a fare quadrato, a mantenere i nervi saldi, a dare il meglio di sè ed infine a vincere! Ne hanno di cose da raccontarsi quando ancora oggi, si ritrovano tutti alla cena delle vecchie glorie organizzata da lui stesso. é così che mi alzo dal tavolino, alla fine della chiacchierata, arricchito e stupito piacevolmente, anche stavolta, delle persone che più o meno nell’ombra, danno tutto il loro sapere, per far crescere questa valle e i suoi abitanti; ognuno nel campo che meglio gli si addice.

Davvero una bella visione.

P.S. se posso aggiungere, con un gioco di parole, (riguardo al soprannome che Giancarlo ha, di “Moggi Noneso,) nessuno, neanche Moggi, più di lui incarna la benemerenza che gli è stata conferita; ecco perché: benEMERenza.  Oltre che nel carattere lo ha scritto pure nel cognome.

Maurizio Paternoster