La ripartenza: risorse e poche certezze

La ripartenza: risorse e poche certezze

I soldi si trovano, ciò che manca sono le idee e l’umiltà di dare un orizzonte certo e credibile alla ripartenza. Ecco la ripartenza: è questa la parola ‘magica’ che riecheggia a destra e a sinistra, ma verso dove? E come?
Una risposta per le nostre comunità è arrivata dal voto per le comunali con il rinnovo di consiglieri e sindaci che nei mesi a venire avranno in mano la guida dei piccoli e grandi paesi della valle.
Due i punti caldi che li aspettano in autunno, il lavoro e il timore di una nuova pandemia che in ogni caso, se davvero ci sarà, potrà essere affrontata facendo tesoro delle esperienze, non tutte azzeccate, della scorsa primavera e soprattutto dei passi in avanti che si sono fatti nella prevenzione e nella cura.
Più complicata la partita lavoro. Il ‘limbo’ in cui è costretto il mercato del lavoro dopo il prolungato stop ai licenziamenti fino a metà ottobre deciso dal Governo, lascia spazio a interrogativi (e timori) su cosa succederà quando le imprese potranno liberamente definire le loro strategie.
Così spuntano una serie di proposte che vanno dal vecchio “lavorare meno, lavorare tutti”, alla riduzione dell’orario a parità di salario, fino all’idea, che non mi pare affatto lungimirante,  di utilizzare parte delle risorse del Recovery Fund per compensare lo stipendio a fronte di una diminuzione dell’orario di lavoro.
Altra soluzione che si prospetta è lo smart working. Ma siamo così certi che il futuro del lavoro passi dalla sua diffusione?
Solo il 16,2% delle micro-imprese (fino a 9 addetti) ha spostato il lavoro al di fuori delle sue mura, tale soglia aumenta al 89,5% fra le più grandi (oltre 250 addetti). Dunque, il lavoro da remoto ha riguardato una parte significativa, ma minoritaria dell’universo aziendale, considerato che le micro-imprese sono il 78,9% della forza lavoro mentre le grandi coprono lo 0,4 per cento.
Qui entrano in gioco le idee e soprattutto le capacità di visione per cogliere le opportunità che ci sono e creare prospettive visto che giornali e telegiornali a tutte le ore strombazzano che i soldi, in arrivo dall’Europa, sono tanti e a disposizione anche se non si sa quando e come verranno ripagati.
Quello che manca di sicuro sono i progetti ‘seri’. Un esempio arriva dal dissesto idrogeologico da cui non è immune il Trentino e nemmeno la valle.
Si scopre però che in Italia su investimenti di 33 miliardi previsti nel 2018 solo opere per 2,5 miliardi hanno progettazioni cantierabili ed il 47% è a livello di schede di prefattibilità.
Si conferma così, dati alla mano, quello che è il grande male italiano, l’assenza di programmazione. Una lacuna drammatica che continua nonostante le denunce sulla questione si susseguano da decenni. Questo perché troppo spesso nelle Amministrazioni e soprattutto ai piani alti della politica si preferiscono i grandi annunci sui fondi stanziati al duro e oscuro lavoro di portare avanti ogni singolo progetto, passaggio dopo passaggio.
Qui si torna al discorso iniziale sui nuovi sindaci: avere l’umiltà, oltre che la lungimiranza, di non voler reinventare sempre tutto di nuovo partendo daccapo, ma realizzare opere che servono (non solo sale civiche!) anche se sono state progettate da chi c’era prima, perché di progetti sono pieni i cassetti, ma cantieri e lavori se ne vedono pochi.

Giacomo Eccher

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