2020 senza fattore campo

2020 senza fattore campo

Il Festival dello Sport 2020 è DigiLive

Parola d’ordine del Festival dello Sport venti venti?

Digitalizzazione. Digitali sono stati la maggior parte degli interventi dei tanti ospiti e digitali sono stati i contatti con il pubblico che seguiva le conferenze in live streaming. Le risapute forze di causa maggiore hanno impedito il consueto ed apprezzatissimo svolgersi della manifestazione nel nostro capoluogo, costringendo gli ospiti a trasferirsi a Milano, privati, come in una delle più attuali partite di calcio, della presenza del pubblico.

Segnali di un cambiamento verso il digitale ne abbiamo sempre avuti. Meno palloni nelle strade e più cellulari. Meno figurine da scambiare e più videogiochi. Meno partite nei parchi e più televisori. Ma ora siamo costretti anche a meno domeniche allo stadio e più partite in streaming. E questo non era sicuramente il passaggio di modernizzazione al quale si voleva arrivare. Il campionato è ripartito, il fischio d’inizio delle partite c’è, e i giocatori gli scarpini li indossano ogni settimana.

Cosa manca?

Manca il dodicesimo uomo. Manca il fattore campo. Manca il fattore umano negli stadi.

Giocheremo nei più grandi stadi europei incontrando mostri sacri della Champions, dimostreremo la nostra forza. Aspettiamo i nostri tifosi nel nuovo stadio a Bergamo”.

(Gasperini, allenatore dell’Atalanta Bergamo).

È un peccato che i nostri tifosi non potranno viaggiare e godersi questa esperienza in Champions con noi. Senza il pubblico il calcio non è la stessa cosa”.

(Gollini, portiere dell’Atalanta Bergamo).

Simone Inzaghi e la sua Lazio sono forse la squadra che ha accusato la pausa forzata nel modo peggiore, con ripercussioni da scudetto mancato. L’allenatore bianco celeste riguardo la scorsa stagione dice “non so se avremmo vinto lo scudetto, però eravamo in ascesa e la pausa del campionato ci ha penalizzato. Ce la saremmo giocata fino alla fine. Io alla Lazio sto benissimo, sono contento del lavoro fatto con i ragazzi. Siamo riusciti a centrare un obiettivo storico come la Champions. I risultati si vedono”.

Il calcio ci ha dato tanto, siamo stati davvero fortunati

(Simone e Filippo Inzaghi)

Simone infatti ha riportato la squadra nella grande competizione europea e non vede l’ora di sentire la musica della Champions nei più grandi stadi internazionali. Sul suo futuro nella squadra storica della capitale non c’è quindi nessun dubbio anche grazie al rapporto con i suoi giocatori. Le sue parole rispecchiano un rapporto positivo ed ormai consolidato: “i ragazzi mi hanno dato massima disponibilità, mi hanno seguito e abbiamo un ottimo rapporto. Dopo quasi 5 anni mi emozionano ancora. Cercano sempre di darmi il massimo anche in situazioni difficili. A volte abbiamo fatto partite in enorme emergenza come l’ultima con l’Inter con Parolo che ha dovuto marcare Lukaku”.

Quest’anno Filippo e Simone si sfideranno in questo particolare campionato dalle rispettive panchine di Benevento e Lazio. Ma loro sono stati rivali anche in campo. Il 14 maggio 2000 si scontrarono in campo con Juventus e Lazio. Sfida scudetto. La Lazio batte la Reggina, Simone segna. La Juventus esce sconfitta a Perugia, Filippo perde. La Lazio è campione d’Italia. Simone ricorda quel giorno così: “ho chiamato io Pippo dopo la partita. Solo i nostri genitori erano felici fin dalla mattina perché sapevano che sarebbero diventati campioni d’Italia, uno dei due avrebbe

vinto. Aveva più possibilità Pippo ma il calcio è così, a volte regala queste emozioni”. Il calcio li ha visti spesso avversari in A ma solo per 11 indimenticabili minuti hanno indossato contemporaneamente gli stessi colori. Nel 2000, fianco a fianco, vestono la maglia azzurra avverando così il loro sogno da quando erano bambini e giocavano con un pallone fatto di calzini facendo diventare la loro soffitta uno stadio che non aveva nulla da invidiare al Bernabéu.

Dall’altra parte del mondo, dove l’NBA regna sovrana, hanno trovato una soluzione permettendo al campionato di basket di trovare un suo vincitore.

Il sistema adottato è quello della “bolla”, ciò ha permesso di concludere il campionato chiudendo 22 squadre per 3 mesi in 3 resort di lusso ad Orlando.

Questa operazione è costata 160 milioni di dollari ma le perdite che avrebbe portato uno stop sarebbero arrivate al miliardo. La vita quotidiana per i giocatori dell’NBA dal 7 luglio è cambiata; ma da quello che ci raccontano Belinelli, Gallinari e Melli non in peggio.

La vita nella bolla è stata organizzata in modo fantastico. Solo l’NBA può creare una cosa così. Sembrava di essere in un film. Stavamo benissimo, ci hanno dato la possibilità di avere molte distrazioni, golf, pesca, ping pong. Avevamo a nostra disposizione palestre grandissime con attrezzi nuovi; tutto sanificato ad ogni ingresso. Ci siamo divertiti e abbiamo passato più tempo con i compagni, ci siamo conosciuti meglio”.

Solo l’NBA poteva creare una bolla organizzata al minimo dettaglio

La mancanza comune tra NBA e qualsiasi campionato però resta sempre il fattore campo. Gallinari ribadisce: “giochiamo per i tifosi, senza di loro non c’è la stessa atmosfera. Davanti a 20.000 persone è un’altra cosa. Speriamo non riaccada più di dover giocare nella bolla”.

Quello dell’NBA è un modello replicabile per la nostra Serie A?

Allenatori e staff pensano sia l’unico modo per terminare il campionato senza ulteriori sospensioni. I giocatori saranno d’accordo? Esistono altre soluzioni? Quando potranno rientrare i tifosi allo stadio?

Ylenia Forner

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