Il patrimonio delle famiglie italiane

Il patrimonio delle famiglie italiane

Intervista al dott. Andrea Caraceni di CFO SIM

Questo mese abbiamo analizzato i dati sulla composizione del patrimonio delle famiglie italiane, forniti dalla Banca d’Italia nel suo report. Per meglio interpretare il significato dei valori espressi nel report e le motivazioni che portano a questa situazione, ci siamo avvalsi del prezioso contributo di un esperto che ogni giorno fornisce un supporto professionale a singoli soggetti e nuclei famigliari relativamente alle scelte d’investimento. Stiamo parlando del Dott. Andrea Caraceni, Amministratore Delegato di CFO SIM, il maggiore Family Office Italiano. I Family Office sono delle strutture che hanno l’obiettivo principale di dare supporto ai propri clienti, spesso nuclei famigliari, per la gestione del proprio patrimonio complessivo sia questo finanziario che immobiliare. Il dott. Caraceni e tutta la sua struttura, nella relazione con il cliente non è la controparte, ma è il consigliere del cliente che grazie al suo supporto è in grado di gestire al meglio il proprio patrimonio.  Gli anni che stiamo attraversando sono molto particolari, spesso volatili e con continui cambi di direzione. Quindi le scelte da fare sono spesso difficili e richiedono un alto livello di professionalità perché dietro ad ogni situazione di crisi ci sono delle opportunità e vanno individuate per poterle sfruttare al meglio. Certamente una struttura indipendente come un Family Office è la garanzia di una relazione in assenza di conflitto d’interessi, elemento questo che sempre più soggetti individuano come il vero plus nella scelta del giusto interlocutore in alternativa  agli istituti di credito, siano quest’ultimi di grande o piccola dimensione.  

Quali sono i fattori che hanno influenzato negli ultimi decenni le scelte d’investimento del patrimonio delle famiglie italiane? Negli ultimi anni tali fattori sono cambiati?                                                            

Innanzitutto, l’Italia è un paese che si  caratterizza per un basso livello di cultura finanziaria. Un recente sondaggio OCSE riporta che l’Italia mostra conoscenze ed attitudini nel campo finanziario ben al di sotto della media dei paesi del G20, anzi per la precisione si colloca al terz’ultimo posto. Ignoranza finanziaria vuol dire incapacità o minor capacità di prendere decisioni finanziarie razionali. Inoltre, ci sono forti differenze tra generazioni in termini di reddito e ricchezza. Negli anni ’90 per esempio, la ricchezza delle famiglie giovani era leggermente superiore a quella degli anziani. Negli ultimi anni il differenziale risulta ormai quasi dodici volte superiore a vantaggio delle famiglie composte da anziani. Questo va detto perché è notoria la maggiore avversione al rischio delle classi di età maggiore. Infine, l’Italia sconta una maggior propensione, a differenza di altre realtà nazionali, all’investimento domestico-il famoso “Home bias” (investire nei mercati italiani mobiliari ed immobiliari), che negli ultimi lustri almeno si è dimostrato: poco redditizio e spesso molto rischioso. Insomma, gli italiani sono (forse erano) grandi risparmiatori, ma erano e sono soprattutto ora, pessimi investitori.

Secondo lei per quale motivo gli asset reali (abitazioni e immobili non residenziali) hanno sempre avuto fino ad oggi un peso maggiore rispetto agli asset finanziarie nel patrimonio delle famiglie italiane?

 Il primo ed il terzo motivo sopra descritto, forniscono una spiegazione a gran parte di questo fenomeno. Aggiungerei che la generalizzata incapacità di valutare un investimento di lungo periodo, quale è quello in asset reali, e di tutte le sue complesse variabili (localizzazione, deperimento, tassazione attuale e futura, valutazione dell’alternativa in locazione etc.) non permette di valutare bene i rischi collegati a questo tipo di investimento rispetto alle possibili alternative, in primis l’investimento azionario. Infine, quasi una sorta di allucinazione collettiva, permane in tutti gli strati sociali che il cosiddetto “mattone” non perda mai valore né passi di moda.

Secondo lei per quali motivi negli ultimi due decenni gli italiani hanno costantemente aumentato la quota di patrimonio liquida sui conti correnti? 

Con l’aumentare dell’età diminuisce la propensione al rischio, si diceva, e visto che la principale fonte di reddito finanziario, i titoli di Stato, offrono rendimenti bassissimi ed hanno avuto forti oscillazioni di prezzo nel recente passato, il risparmiatore preferisce sopportare il costo opportunità e si tiene in liquidità. Inoltre, è consueto interpretare il fenomeno normale dell’investimento finanziario, la volatilità, come un elemento totalmente negativo.

Le crisi del 2008 e 2011 hanno impattato sulle scelte d’investimento del patrimonio delle famiglie?

Paradossalmente direi di no. Queste crisi hanno invece rafforzato la consuetudine di un’intensa ed intempestiva corsa ai beni rifugio o almeno quelli ritenuti tali, ed un allontanamento, sia nel breve che, peggio, nel lungo periodo, dagli assets finanziari più promettenti seppure, questo sì, più volatili.

Negli ultimi due decenni il livello medio di cultura finanziaria degli italiani è cambiato?

Molto poco.

Le nuove generazioni sentono ancora la necessità di acquistare l’abitazione principale o preferiscono l’affitto? In questo secondo caso, per quali motivi?

L’Italia è al mondo uno dei paesi con maggior indice di proprietà della casa di abitazione. Tradizionalmente quindi possedere la casa in cui si abita è un principio culturale accettato e diffuso. Le nuove generazioni non sono cambiate in questo, sono cambiate nel senso che hanno meno reddito disponibile delle generazioni precedenti e sono pertanto obbligate a soluzioni più flessibili. Va poi rilevato che la famiglia tradizionale sta diventando nei suoi moduli di consumo e nei suoi modelli di vita quasi residuale: oggi i nuovi modi di relazione spingono oggettivamente verso soluzioni di affitto. Anche la precarietà delle situazioni lavorative contribuisce alla parcellizzazione degli immobili e a far preferire soluzioni di locazione anziché di acquisto dell’abitazione.

Come prevede si evolverà nei prossimi 10/20 anni la composizione del patrimonio delle famiglie italiane in merito:  

a. Al rapporto tra attività reali e finanziarie

Ci sarà certamente uno spostamento verso le attività finanziarie, sempre più diversificate, per forza di cose.  Prima o poi ci sarà una presa di coscienza da parte dei risparmiatori dei trend demografici, economici e sociali del nostro paese, fenomeni di per sé già noti ed analizzati nei più disparati campi e nei più diversi ambiti di confronto.

b.  Alla composizione delle attività finanziarie

Il processo di crescita del livello di cultura finanziaria nel nostro paese porterà sicuramente a riconsiderare l’attuale mix. Uno dei postulati della finanza dice che l’unica cosa gratuita è la diversificazione. Pertanto ci si sposterà sempre di più verso una maggior sofisticazione dei portafogli e verso i settori più legati all’evoluzione tecnologica o più diversificati per area geografica. In forte calo dovrebbe essere la componente in titoli obbligazionari sia perché i rendimenti sono ai minimi storici sia perché la raccolta del capitale avverrà sempre di più attraverso nuovi canali e nuovi strumenti. In sintesi, vediamo un incremento dell’investimento in azioni ed un maggior futuro interesse verso la selezione dei settori o dei mercati, penso anche alle commodities o ai paesi emergenti.

Si conclude così l’interessante intervista al dott. Andrea Caraceni, nella speranza che il lavoro svolto dal nostro giornale in questi anni porti un valore aggiunto ai lettori ed indirettamente a tuti noi. Siamo infatti convinti che la conoscenza e l’approfondimento di temi come quello finanziario, alla lunga permettano di migliorare la qualità e lo sviluppo della collettività.

Paolo Leonardi