La luce in fondo al tunnel

La luce in fondo al tunnel
Ponte del Castellaz (Foto aerea di Sergio Zanotti)

Adesso la parola d’ordine è vaccinare ma bisognerebbe aggiungere anche ‘cambiare’. Per cogliere la lezione che questa terribile epidemia  sta dando alle istituzioni, all’economia e pure ai singoli. Un’occasione unica per cambiare la società, il modo di vivere e modernizzare il sistema sanitario e di prevenzione oltre che produttivo.

Ma quando grazie ai vaccini l’Italia potrà ripartire? 

È la domanda che si pongono tutti, ma non ci sono date certe.  L’ipotesi più plausibile è quando il Covid ucciderà meno, diventando paragonabile all’influenza stagionale, passando cioè dagli undici decessi su mille infetti del picco dell’epidemia, a uno. Secondo i piani annunciati dal Governo Draghi, e se l’approvvigionamento dei vaccini non subirà scossoni, ci si dovrebbe arrivare a fine giugno:  difficile crederlo, vista la fine delle precedenti previsioni. Ma se calano, per  le dosi va data la priorità ai più fragili, ed è su questo terreno che, come al solito, emergono le falle di un sistema colabrodo e dove si spalancano praterie per i ‘furbetti’ e per chi la fila non la rispetta mai.

La convivenza con il virus dunque resterà ma dovrebbe diventare meno dannosa perché il progredire delle vaccinazioni ne abbasserà progressivamente la letalità. E con strategie vaccinali corrette, e se ci sarà davvero quel cambio di passo intravvisto con il nuovo Governo, si può raggiungere l’obiettivo di ridurre la pericolosità del Covid-19 a quella dell’influenza ben prima del prossimo autunno

Sul terreno rimangono però tante macerie e non appena sarà superata l’emergenza sanitaria non bisogna perdere l’occasione per ristrutturare il sistema produttivo e creare le premesse per  una crescita di lungo periodo. Questo però non sarà possibile se non si cambia il sistema culturale,  organizzativo e di approccio alla realtà che nei decenni si è stratificato nel nostro paese. 

Adesso siamo nel cuore della primavera e le belle stagioni portano sempre una ventata di speranza per una sollecita ripresa, anche se il ritorno alla normalità sarà davvero duro per il lavoro, l’economia, la vita sociale. “il Melo” nei  dodici mesi di chiusure e di colori alterni che ci lasciamo alle spalle non ha mai saltato un turno ed è arrivato puntuale come sempre nelle case con un notevole sforzo di costanza dell’Editore, del CdR e della distribuzione.

Il numero che avete nelle mani si presenta particolarmente interessante non solo per le consuete rubriche che continuano, ma anche per l’inserto centrale impreziosito da una capillare e certosina ricerca del nostro collaboratore Fabrizio Tanel sulla genealogia della famiglia Spaur di Castel Valer e una panoramica sui castelli delle valli del Noce a firma  del nostro storico don Fortunato Turrini. Un omaggio postumo de “il Melo” al conte Ulrico che aveva da subito apprezzato il nostro mensile ospitandoci per una serie di servizi sul suo maniero prima dell’apertura al pubblico, tre anni fa.

Novità anche sul fronte della sostenibilità ambientale in agricoltura mentre continua il viaggio nella viabilità della valle per ricordare ciò che è stato fatto o non fatto, le occasioni perse ed anche i rimpianti per scelte che potevano essere diverse. Il tutto senza spirito polemico e raccogliendo le segnalazioni che i lettori, ovviamente con gli occhi di oggi, ci vorranno indirizzare.

C’è infine l’epilogo dell’avvincente romanzo “la stanza dei bottoni” di Antonietta Dalpiaz Breda, un congedo che contiamo sia provvisorio dato l’apprezzamento dei lettori.

Giacomo Eccher