Popolazione, lavoro, colture e prodotti agli inizi del XIII secolo nelle Valli del Noce

Popolazione, lavoro, colture e prodotti agli inizi del XIII secolo nelle Valli del Noce
Danilo Pozzatti - El paes che no giè pù (Dipinto su rame cm. 80x 115)

Nella cultura moderna circola ancora un fortissimo pregiudizio: quello del “Medioevo dei secoli bui”.

Intolleranza, violenza, ignoranza, Crociate, Inquisizione, Bonifacio VIII: si fa un minestrone di luoghi comuni, magari per sentito dire, e si condanna in blocco un tempo storico che fu invece un momento di grande armonia fra uomo e natura, in cui gli studiosi erano animati da una passione insuperata per la conoscenza e l’interpretazione del mondo, con l’ausilio di una sconfinata fiducia nella ragione.

Periodo, il Medioevo, di sintesi, di sapienza che permetteva “nel medesimo tempo di vivere in Dio e di parlarne, restando con i piedi e la mente spalancati su questo mondo”, come si esprime un nostro convalligiano, Claudio Leonardi, acuto conoscitore della mentalità medievale, che aggiunge: “Il meglio che possiamo sperare da questa fine millennio è un bel ritorno al Medioevo. Niente allarmismi, per favore: abbiamo solo da guadagnarci. Il razionalismo positivista, al quale neppure gli ultrà illuministi sembrano più credere, versa in stato comatoso e il clima culturale che si respira è quello della festa appena finita, del disorientamento intellettuale, dell’assenza d’uno straccio di pensiero-guida”.

Il Medioevo, specialmente dopo il Mille, fu un periodo estremamente complesso, più diversificato di quanto si pensi. Abbiamo una traccia di tale articolazione in alcuni documenti che riguardano le nostre valli. Essi possono venir paragonati ai ruoli delle tasse, alla memoria del computer nell’Ufficio Imposte, tanto sono dettagliati.

Una lettura non solo fiscale dei testi fa giungere alla comprensione, almeno sommaria, della comunità vivace e composita che popolava le nostre terre: una società che lavorava alacremente per sè e per i signori feudali, che mormorava contro le vessazioni, pagava le “steore”, soffriva e viaggiava fra il 1100 ed il 1200. Veniamo a sapere che esistevano, anzitutto, moltissimi piccoli centri abitati, più numerosi degli attuali. La durezza della vita, la difficoltà delle comunicazioni, le pestilenze hanno cancellato dalle carte geografiche almeno 37 villaggi o frazioni in Val di Sole (Daseré, Calcagnile, Carisana, Caxulino, Robays presso Vermiglio; Bunno, Camunno, Clusas, Dosso, Fonenassega, Romagnano, Saxignana, Vergunno, Viazolo in Alta Val di Sole; Celero, Palude, Pegaia, nella Valletta; Meinali, Plovio, Roncazo, Ursi vicino ad Ossana; Vigo nei dintorni di Ortisé; Plaza, Gardenido, Lago, Praadami, Prealbrico, Premartin lungo la valle; Perasolo vicino a Croviana; e nella bassa valle: Pranigro, Rio, Salicie, Solaio, Sopralmuro, Torgnono, Tuscaiano; infine Arbio a Rabbi), ed alcuni paeselli in Val di Non (i documenti riguardano unicamente la zona Nord-occidentale, parlando di Casa Nouva, Cauredi, Nugaliola presso Bresimo; Caminata e Plantumis vicino a Livo; Muginono e Valzanigo nei dintorni di Rumo e Beuedano presso Revò; ma chissà quanti altri ne esistevano nel resto del territorio).

Le componenti della popolazione nei paesi sono assai varie: non si parla unicamente dell’esistenza di contadini e servi della gleba, come i testi scolastici vogliono far credere, contrapposti ai signorotti ed ai loro scherani arroccati nei castelli. Naturalmente gli agricoltori costituiscono il nerbo della società e sono onerati da imposte e decime innumerevoli. Ma, accanto a loro, compaiono artigiani e professionisti, che i documenti elencano nel bel latino medievale: il becharius (macellaio e norcino), il carzapanni (cioè il cardatore di lana), il ferrarius (fabbro), il follarius (follatore di panni), il pelliparius (conciatore di pelli, detto in dialetto giarbàr o garbèl), il pistòr (panettiere). Si trovano pure il piscator (pescatore di professione nelle acque del Noce), il pegorarius (mandriano con il suo gregge), il nuncius (è l’equivalente di messo comunale), il viator (letteralmente viaggiatore, ma in realtà la persona a cui si affidava la custodia dei campi coltivati: segno che già nel 1200, da noi, esisteva una legislazione di Regola), il caniparius (cantiniere).

Non è assente, in una realtà molto religiosa, il monachus (eremita, o appartenente a qualche famoso ordine medievale, come i Benedettini, gli Agostiniani, i Cistercensi). In Tonale ci si imbatte in un dyaconus (ministero ecclesiastico, di istituzione apostolica, con compiti caritativi). Il decanus invece non ha ancora una carica religiosa, ma è una specie di capo-comune per una decina di paesi.

Il gastaldus e lo scarius sono ufficiali civili, addetti all’amministrazione ed all’espletamento di incarichi giuridici minori: sono nomi e mansioni con una derivazione longobarda, ma che sopravvivono fino alla soglia dell’età moderna in Val di Sole.

Tutte queste persone avevano il proprio ruolo nella società nonesa e solandra agli inizi del 1200; ed erano la “borghesia” se confrontati alla massa di contadini, che popolava la terra. Agricoltori-allevatori, si deduce dai documenti: nelle loro stalle e nella campagna prosperavano animali domestici come l’agnus (agnello; a Menas si parla di agnus pezolinus), il bos (bue), il cavredus (capretto), la galina, il multonus (montone), il porcus, (maiale), l’ovis (pecora), la vacca, il vernuex (caprone).

I campicelli, dissodati a mano, producevano vari generi di cereali: la blava, il frumentum, il granum (detto anche grano dei buoi), il millium (se ne conoscevano almeno tre specie), l’ordeum (orzo), la scandella (hordeum distichum), la segala, la siligo (triticum hibernum), il surgum (sorgo).

Erano tenuti in conto anche la carrazine (carezza degli stagni), la faba (fava) e soprattutto il vinum, di cui erano produttori specialmente i nonesi tra Cis e Revò, ma non solo loro.

Sottoprodotti del lavoro agricolo erano il caseus (formaggio), la lana, la juncata (poìna). L’artigianato contadino costruiva gli attrezzi di uso ordinario e fabbricava inoltre calzaria (scarpe di pelle, sandali), qualche brozius (carro agricolo a due ruote), currus (carro ordinario), plaustrum (carro per il trasporto del foraggio); rotas (ruote da carro), concios vini (congiài, recipienti in legno per il vino); ed era normale che in caso di necessità si preparasse anche un ferrum equi (ferro di cavallo).

I paesi della Val di Sole (fra gli altri: Vermiglio, Caldes, Carciato, Castello, Dimaro, Croviana, Peio, Monclassico, Terzolas, Ossana, Presson) erano specializzati in allevamento di bestiame grosso e minuto – bovini ed ovini – e nella preparazione del formaggio, oltre che nella coltivazione di cereali adatti all’altitudine – blava, millium, segala, scandella -; i villaggi della Val di Non (Bresimo, Cagnò, Cis, Livo, Pavillo, Revò, Rumo, Taio, Ton, Cles), che come quelli solandri erano soggetti al pagamento di pesanti decime, producevano oltre al bestiame ed ai cereali soprattutto vino.

Don Fortunato Turrini