Capitani, vicari, assessori e massàri

Capitani, vicari, assessori e massàri

Burocrazia nonesa e solandra nel principato vescovile

Ai tempi di fondazione della Contea Vescovile di Trento (1004) le valli del Noce avevano in campo civile e militare una loro specifica fisionomia. Erano terre fertili, da tenere ben salde in mano del signore feudale (il Vescovo, poi anche Principe). Va ricordato che 10 canonici della cattedrale di Trento, su un totale di 28, traevano le loro rendite in Val di Non ed in Val di Sole. Il distretto nòneso-solandro era diviso verso i primi del 1200 in cinque gastaldie (Mezzocorona, Cles, Ossana, Livo e Romeno).

Ecclesiasticamente le valli contavano 22 pievi già prima del 1295. Per mantenere il controllo del territorio il vescovo di Trento vi nominò un “vicedominus”, cioè un luogotenente per il governo. Il primo di cui si ha memoria fu Bertoldo di Cles (1185), seguito dal noto Pietro di Malosco, uno dei ricchi feudatari del Principato trentino; esperto in diritto, avvocato e giudice, aveva ricevuto dal conte Alberto di Tirolo la carica di governatore di Trento, quando il vescovo si era ritirato nel monastero di Monte S. Giorgio nella valle dell’Inn. Diventò poi amico e consigliere del Principe vescovo Federico Wanga, che lo incaricò si stendere il catalogo delle entrate vescovili nelle due valli. Morendo, Pietro lasciò eredi d’una parte del suo patrimonio sia i Templari che i cavalieri Teutonici (i difensori del regno latino di Gerusalemme), forse in ricordo del suo signore, il Wanga, che era deceduto a S. Giovanni d’Acri in Terrasanta nel 1218 durante una crociata.

Dopo Pietro di Malosco (padrone in vita di decime, fondi e masi a Coredo, Smarano, Senale, Malosco, e di un mulino nella valle di S. Romedio) non si conoscono altri “vicedomini”.

Seguono anni di lotta aperta con il dinasta di Castel Tirolo, che da avvocato (difensore) del vescovo di Trento ne è diventato usurpatore. Il quel tempo turbolento nelle valli del Noce vengono nominati dei “capitani” o luogotenenti del vescovo. Un documento del 1272 nomina il capitano Odoricus de Tablato, che sembrerebbe incaricato per la Val di Sole, ma probabilmente aveva potere anche sulla Val di Non.

Nel 1275 è capitano un Ottone di Rothbach, che ha il potere dal vescovo di Trento ma è approvato dal conte di Tirolo. Pochi anni dopo, con un compromesso, venne deciso che i capitani fossero due, uno in rappresentanza del vescovo, l’altro per il conte.

La ragione sta nel fatto che Mainardo II di Tirolo-Gorizia aveva esteso abusivamente la sua giurisdizione su mezza Val di Non: Castelfondo, Dovena, Senale, S. Felice, Brez con Arsio e Traversara, Ruffré, Don, Amblar, S. Romedio e parte di Tavon, Spormaggiore e Sporminore, Cavedago, Segno, Torra, Flavon, Terres, Cunevo, Andalo e Molveno gli dovevano sottomissione. I Tirolo tenevano pure Castel Visione e facevano pagare l’ingresso in valle alle merci in transito per la Rocchetta.

II capitano – al quale nel palazzo di Coredo ancora nel 1646 gli abitanti di Vermiglio dovevano portare la testa degli orsi e dei lupi uccisi – era coadiuvato da un vicario; il primo a noi noto fu Antonio di Ledro, nel 1302. Nel lungo elenco dei capitani e dei vicari, accanto a forestieri, fra il 1300 ed il 1802 primeggiano i nònesi (70, in gran parte appartenenti alla nobiltà anaune: Cles, Spaur, Thunn, Firmian, Coredo, Khuen Belasi, d’Arsio); i solandri sono pochi (de Federicis, Heydorf, Aliprandini).

Nel 1312 il vicario Federico Cles amministrava la giustizia in nome del vescovo nella borgata nònesa. A causa delle sopraffazioni compiute dalla nobiltà, il Principe vescovo Enrico III ordinò ai suoi capitani e vicari di prendere sotto la loro protezione sia le comunità che i singoli: tale decisione confermava alcuni privilegi della Valli del Noce formulati nel 1298 e codificati in seguito fra il 1407 ed il 1642. Al tempo di stesura della prime Compattate – un patto fra vescovo di Trento e conte di Tirolo, con cui si cedeva quasi del tutto il potere civile al secondo – Rodolfo d’Asburgo, erede nel 1363 di Margherita Maultasch, l’ultima dei Tirolo-Gorizia, si succedono capitani di chiara provenienza tedesca. In seguito però si affermano nella carica elementi locali (fra loro una quindicina di Spaur ed otto Cles).

A fianco dei capitani, che avevano ruolo più militare che civile, già nel 1302 troviamo gli “assessori”, chiamati all’inizio anche giudici. Dopo un periodo di incertezza, la nomina dell’assessore delle Valli fu decisa dal vescovo. Il funzionario, che era agli ordini del capitano, fungeva da giudice di primo grado. Dal 1568 la carica aveva durata biennale. Il personaggio veniva scelto tra gli esperti in legge, specialmente nella nutrita categoria dei notai. Dopo varie peregrinazioni, che lo videro a Cles, Denno, Livo, Casez, Pavillo, Sanzeno, Coredo e Revò. l’assessore fissò finalmente la sua sede a Cles: ma si era ormai giunti al 1679.

In principio l’assessore teneva udienza solo una volta al mese; poi le cause ed i processi vennero celebrati due volte in settimana. A fianco di questo giudice di prima istanza sedevano frequentemente i “notai dei malefici”, che lo aiutavano nelle cause criminali; inizialmente erano quattro per la Val di Non e due per la Val di Sole.

Bernardo Cles nel XVI secolo ordinò che ve ne fossero una decina: 4 per il quartiere “di qua dell’acqua” del Noce; quattro per quello “di là dell’acqua” e due per i solandri.

Alla carica molto ambita di assessore potevano accedere anche i nobili rurali, o forestieri ben istruiti in diritto. Alcuni provenivano dalla Val di Sole (Caldes, Cusiano, Cogolo, Samoclevo, Peio, Croviana, Ossana, Mezzana), ma i più erano nònesi (da Taio, Denno, Cles, Rallo, Fondo, Tuenno, Tassullo, Coredo, Termon, Malgolo, Tavon, Mollaro, Malosco, Brez, Pavillo, Nanno, Sarnonico, Torra, Mechel, Arsio, Flavon).

L’ultimo assessore delle Valli fu Antonio Angeli (1806): il regime bavarese, allora al potere in Trentino, concluse d’imperio una serie di alti funzionari durata 504 anni. Altro ufficio amministrativo importante era quello di “massàro delle Valli”. Tale burocrate esercitava la giustizia, insieme con l’assessore, e riscuoteva le tasse vescovili. Il massàro aveva l’ultima parola nelle vendite di beni appartenenti al governo del Principe vescovo, regolamentava fiere e mercati, giudicava in cause che non passassero il valore di 25 fiorini. Non aveva sede fissa, ma si spostava a seconda del bisogno nei vari paesi.

Il primo massàro ricordato fu un certo Bonaventura (1329), seguito da un folto numero di alti funzionari fino ad Agostino Torresani, che esercitò il suo ufficio dal 1778 al 1801, quando ormai il Principato era agli sgoccioli. Circa 28 fra i massàri di cui si conserva il nome erano della Val di Non; solo un paio venivano dalla Valle di Sole (fra loro un Migazzi di Cogolo nel 1476).

In tale quadro si muoveva la popolazione delle valli del Noce, che era alla base della piramide sociale e su cui gravavano vari organi di governo:

  • i regolani e gli uomini di giuramento (eletti ogni anno in piena Regola nei paesi per l’autogoverno locale);
  • i funzionari vescovili (capitani, vicari, assessori e massàri) per l’amministrazione della giustizia e per la riscossione delle tasse;
  • i nobili del posto, che imponevano i loro privilegi e le loro decime alla gente;
  • i Conti di Tirolo (la cui autorità fu inglobata con quella imperiale, quando gli Asburgo ne furono investiti: la loro ingombrante presenza si faceva sentire soprattutto con l’aumento delle tasse in occasione di nozze, passaggi in Trentino e guerre dinastiche);
  • ed infine il Principe vescovo, al quale andavano in parte le multe dovute alla trasgressione dei capitoli di Regola delle comunità. Burocrazia complessa, più o meno legittima, che campava comunque alle spalle degli abitanti delle due valli.

Don Fortunato Turrini