1802: via gli sbirri!

1802: via gli sbirri!

Tra la popolazione e le forze dell’ordine non v’è mai stata eccessiva simpatia: nelle nostre valli l’imperativo di sempre è quello di non dar fastidio e di non farsi infastidire. Quindi, a ognuno il suo mestiere.

Una volta l’incontro con i gendarmi – erano un paio per ogni pieve importante – suscitava grande soggezione e si cercava istintivamente di svicolare.

Questo accadeva nel secolo austriaco del Trentino (1816-1918), quando i tutori della legge erano inflessibili.

Prima le cose andavano diversamente: gli “sbirri”, esecutori di giustizia civile e criminale, erano una categoria numerosa, temuta e odiata, perché usavano della loro autorità e delle armi che portavano per fare quel che volevano: come i “bravi” di manzoniana memoria.

La gente era stufa dei soprusi; nell’aria di libertà che spirava dalla Francia si cominciò a pensare al modo di sbarazzarsene, o almeno di regolamentare la loro ingombrante presenza.

Il 26 marzo 1802, nella seduta del Magistrato delle Valli del Noce, tenuta a Revò nel palazzo del Capitano conte Felice d’Arsio e presenti i tre sindaci (uno per la Val di Sole, due per la Val di Non), fu messa all’ordine del giorno la questione degli “sbirri”.

Erano giunte al Magistrato delle Valli – che aveva poteri sull’economia, sulle tasse, sul pane, sulla condizione generale del territorio, compreso il rispetto per i “Privilegi” del 1407 – “forti e giuste lagnanze delle Pievi relativamente alli birri di questo paese”.

A nome della loro popolazione, i regolani di Vervò, Vion, Dardine, Priò, Tuenetto, Mollaro, Tres, Taio, Coredo, Vigo, Sarnonico, Smarano, Dambel, Tassullo, Sanzeno e Denno presentarono un esposto, firmato in febbraio, “affine vengano scacciati dalle Valli tutta la sbiraglia, atteso che si vedono giornalmente de gravi disordini non solo, ma ben anche d’agravio”.

Il Magistrato si informò e preparò due progetti: il primo escludeva totalmente gli “sbirri” dal territorio; il secondo prefigurava una riforma “necessaria ad evitare tanti disordini, che alla giornata accadono nel paese”.

Il Principato Vescovile di Trento era alla vigilia della sua scomparsa (che avvenne il 26 dicembre 1802) ed i funzionari statali si vedevano costretti a prendere decisioni quasi in autonomia, visto che l’autorità centrale, il Vescovo Emanuele Maria Thun, aveva le sue gatte da pelare con Austriaci e Francesi che andavano e venivano in Trentino come a casa propria.

I due progetti furono sottoposti al vaglio delle comunità nònese e solandre. A grande maggioranza (Cles, Denno, Fondo, Cavareno, Seio, Vasio, Malosco, Ronzone, Sarnonico, Dambel, Sanzeno, Coredo, Smarano, Taio, Torra, Vigo, Livo, Malé e Ossana) fu votato d’accogliere il primo, che stabiliva “cosa ben fatta ed espediente. l’esclusione dal paese della troppa moltitudine dei birri”. Tassullo, Cloz e Romeno decisero di stare con la maggioranza.

Nessun comune accettò la riforma, che prevedeva la sopravvivenza degli “sbirri” ed il permesso per loro di portare in pubblico il “palòs(spada corta ad un taglio).

Il 3 novembre 1802 il Magistrato delle Valli deliberò di chiedere al Principe Vescovo la soppressione assoluta della “sbiraglia”, secondo le decisioni delle comunità.

La storia, però, accelerava. Il 5 novembre arrivò a Trento il maggiore austriaco Birrè, con cinque compagnie di soldati; venne subito sciolta la guardia civica. Il 7 novembre il conte Von Bissingen, commissario imperiale, annunciò al Capitano ed al Magistrato Consolare che veniva a prendere possesso del Principato trentino in nome dell’Imperatore Francesco II.

Date le circostanze, non è noto l’esito della richiesta dei comuni nonesi e solandri riguardo ai birri: tanto più che nel mese successivo lo stato di Trento perdeva la sua indipendenza. Probabilmente non se ne fece più nulla.

Don Fortunato Turrini