Prigioniero nell’inferno dei Balcani

Prigioniero nell’inferno dei Balcani

 Prima parte: lo zio ‘Gino’

Con questa pubblicazione ho voluto riprendere gli appunti dello zio, Eligio Paternoster detto Gino (1913 – 2006), su cui aveva annotato le peripezie subite nel secondo conflitto mondiale.

Prima dell’inizio del conflitto, sperando di non essere richiamato alle armi, lo zio si arruolò nel corpo dei Vigili del Fuoco a Roma. Qui ha potuto ammirare le bellezze della città eterna ed è stato anche nominato vice brigadiere e aveva tre sottoposti di origine della Val d’Aosta. Questo periodo certamente è stato il più bello della sua vita.

Andava anche orgoglioso di essere ricevuto con i Vigili del fuoco di Roma dal Papa Pio XII. Purtroppo il periodo fu breve perché, quando l’Italia si stava preparando ad entrare in guerra, fu richiamato e ricollocato nella divisione Brennero che nel frattempo era diventata Acqui.

In val di Non e precisamente al Raut di Ton il lavoro in campagna non mancava, ma all’ordine bisognava ubbidire. Per fortuna il fratello Guerrino risultava ammalato e pertanto fu esonerato dal servizio militare. Alla fine era solo un’ernia, ma interna che i medici a quel tempo non erano riusciti ad individuare.

Lo zio Eligio, pur avendo frequentato solo le scuole elementari, aveva una discreta cultura perché aveva anche studiato per corrispondenza ed era molto attento alle innovazioni. Tanto è vero che al rientro, dopo la guerra, si era attivato per fondare una società per l’acquedotto a pioggia. Infatti a quel tempo l’acqua arrivava con dei ruscelli, ma in parte si disperdeva lungo la discesa, altra veniva “rubata”.

Riallacciare i fili spezzati e recuperare brandelli di vita diventò per mio zio una sorta di medicina dell’anima. I primi anni del suo ritorno dalla guerra furono difficili perché la campagna rendeva poco e a disposizione vi era solo la pensione di guerra di mia nonna Giulia,  una miseria.  Solo con l’avvento del nuovo sistema irriguo in campagna la situazione migliorò.

Divenne poi sindaco di Ton per 15 anni e si dedicò con impegno a favore degli abitanti dei tre centri maggiori del Comune con le frazioni prima di ritirarsi e lasciare questo mondo a 93 anni.

Una figura certamente importante in questo racconto, prima di parlare del periodo bellico a Corfù e della prigionia, è quella di mia nonna Giulia.

Rimasta vedova a soli 27 anni a causa della prima guerra mondiale dove perse il marito Valentino a Innsbruck e il cognato Giovanbattista in Galizia, è riuscita con caparbia a portare avanti la famiglia con i tre figli: Maria nata nel 1910 (mia mamma), Eligio (Gino) nato nel 1913 (il reduce), e Guerrino nato nel 1915 che non ha mai potuto vedere il proprio padre. Sempre combattiva anche quando mia madre sposò mio padre Alfred di lingua tedesca: unione che a quel tempo non era benvista dai ben pensanti sudtirolesi.

Comunque lei alla nascita di mio fratello Valentino si recò a Trafoi per festeggiare il primo nato e al ritorno, visto che i due fratelli erano rimasti nel maso al Raut, ha comprato una bicicletta “da corsa”, un gioiello per quel tempo.

Io stesso l’ho potuta usare fino alla partenza per Tione di Trento, a 14 anni. Durante la guerra infatti mia mamma, visto che il marito era al fronte, con noi figli ha chiesto ospitalità alla nonna Gina, la quale è stata ben contenta di ospitarci. Finita la guerra i miei genitori sono ritornati a Tione, dove mio padre era il direttore dell’ufficio postale, con i miei fratelli. Anch’io avrei dovuto raggiungerli all’inizio della scuola, ma purtroppo la mamma nel frattempo era deceduta sotto i ferri durante un intervento alla gola all’ospedale a Trento.

Così mio padre ha chiesto alla nonna se potevo rimanere con lei fino che avesse trovato un aiuto a casa e sono perciò rimasto al Raut fino alla fine delle scuole elementari. Mio padre nel frattempo si era risposato. Ecco allora che io ho potuto dialogare con lo zio Eligio “Gino” a cui chiedevo pareri e informazioni discutendo anche sui fatti bellici di cui era stato testimone.

D’altra parte al Raut era quasi il solo cui potevo parlare perché la nonna Giulia a forza di disgrazie era diventata sorda e lo zio Guerrino era più taciturno. Io allora ascoltavo e mi ha impressionato quando mi riferiva, come spiegherò più avanti, che non sempre i buoni erano tali e i cattivi erano tutti da condannare.

Lo zio nel suo racconto non ha mai inveito contro nessuno, era arrabbiato solo contro le guerre. E come dargli torto, visto che aveva perso il papà e lo zio durante la Prima Guerra Mondiale e lui se l’era cavata per un soffio in Austria durante un bombardamento russo nelle vicinanze di Graz.

Purtroppo con mio padre ho avuto poche possibilità di dialogo, mi raccontò solo che il suo matrimonio con mia madre non era ben visto in Südtirolo.

Avevano paura che con troppi matrimoni mistilingue, anche l’Alto Adige si sarebbe italianizzato.

All’inizio degli anni Sessanta lo zio Eligio ha subito un grave infortunio con il trattore e per lungo tempo è rimasto senza poter lavorare. In quel periodo ha passato un brutto momento perché aveva la famiglia sulle spalle e la campagna, fino all’arrivo dell’irrigazione. era appena sufficiente per sopravvivere. Per fortuna, come invalido, fu assunto in qualità di addetto presso l’ufficio di collocamento al lavoro.

Dopo aver lasciato la carica di Sindaco si era dedicato a riscrivere le sue memorie durante la permanenza a Corfù come militare occupante e poi prigioniero dei tedeschi.

Bisogna dire che durante questi tragici giorni ha avuto un amico sincero Ernesto Moser di Barco in Valsugana. Diversi i Trentini trovati sulla sua strada, ognuno portava la sua croce nel bel mezzo del disastro.

Io ho frequentato la scuola elementare a Vigo, prima in una vecchia scuola, poi in una molto bella al centro del paese. Devo dire che a quel tempo la scuola elementare era molto formativa con bravi insegnanti. Perciò, anche in quel fatidico 4 luglio 1945, quando ancora non avevo 5 anni, mi trovavo al Raut.

Ero al “Rautel”, un bel podere poco lontano dell’abitazione della nonna in fondo ad un prato dello prozio Roberto, con mamma, nonna e lo zio Guerrino. Quel giorno per me tutto mi appariva negativo… era iniziato alla mattina quando avevo chiesto alla mamma di legarmi due bastoncini a croce, ma lei si indignò affermando che vi erano già troppe croci …

Nel pomeriggio comunque tutti e quattro ci siamo recati, come detto, al Rautel perché i miei dovevano finire un lavoro in campagna. Poi tutti e quattro abbiamo iniziato a mangiare una frugale merenda, ma nessuno faceva caso a me. Anzi, se chiedevo qualche cosa venivo palesemente ignorato, con grande mio disappunto. Era una bella giornata e sembrava tranquilla quando improvvisamente la mamma in primis,  lo zio e la nonna a seguire, si misero a correre su per il prato lasciandomi da solo al Rautel…urlando Ginoo…Ginoo…!                                                                 (continua…)

Redazione