Anche i banchi parlano

Anche i banchi parlano

Tratto da: “Storia e storie nelle valli del Noce”    

Uno dei pilastri fondamentali della società, in passato, era la disuguaglianza. Essa non solo era visibile a tutti, ma veniva anche accettata, anzi difesa coi denti dagli interessati. Da qui lo scandalo e l’enormità di quella “egalité”, che fu portata in Europa dalla Rivoluzione Francese dal 1789 in avanti e che recò una ventata di aria buona nel vecchio mondo sul finire del secolo XVIII. Fino ad allora non era affatto pacifico affermare che “tutti gli uomini nascono liberi ed uguali”.

Il tempo antico è segnato infatti, come da un marchio di fabbrica, dalla raffigurazione a piramide della società: alcuni esseri sono “più in su” di altri, e questo “per diritto divino”. Basti pensare ai re ed ai governanti dei secoli andati; nei nostri paesi, ai nobili di sangue ed ai nobili rurali.

Uno dei segni della disuguaglianza è anche la divisione che esisteva, e durò centinaia d’anni, nelle chiese tra famiglie notabili, o distinte, e la bassa plebe.

Le prime avevano in proprietà il loro banco – e spesso erano tutti i sedili della chiesa – mentre gli altri o stavano in piedi o si portavano uno sgabello per seguire le interminabili funzioni in latino. Oggi, con la nostra mentalità, è facile condannare quell’abitudine.

Una volta ciò si sapeva, ma non costituiva fatto traumatico: era naturale che i ricchi stessero anche in chiesa meglio dei poveri; d’altra parte ci si consolava citando una frase del Vangelo, che pendeva come una spada di Damocle sopra la testa delle classi agiate: “Difficilmente i ricchi entreranno nel regno dei Cieli(Matteo 19, 23).

Nella chiesa pievana di Malé la totalità dei banchi aveva il suo intestatario (e spesso egli ci metteva anche la sua brava targhetta lucida di ottone, con il proprio nome).

Il sedile passava in eredità ai posteri, e poteva essere compravenduto, con la debita trafila burocratica.

Il possesso e l’uso di un banco fu fonte per secoli di litigi e di ricorsi. Ma ciò nonostante la prassi continuò fino agli inizi del secolo XX: in alcune chiese ancor oggi restano le placche in metallo con i nomi dei titolari del banco.

Per la Val di Sole, porto a testimonianza un documento del 1875, che ricalca – sebbene in alcuni punti sia diverso – uno scritto analogo del 1831. La cosa notevole è questa: fra i titolari dei banchi ci sono parecchi  uomini che non sono di Malé, ma appartengono alla vecchia pieve, che si estendeva su tutta la bassa Val di Sole fino a raggiungere le “Capèle”, che erano di Livo.

Si trovano elencate famiglie di: Croviana, Terzolas, Caldes, Samoclevo, Magras, Monclassico, Presson, oltre naturalmente che di Malé (abitanti nel paese o emigrati altrove, ma che mantengono il loro diritto); mancano famiglie di: Dimaro, Bolentina e Montes, Cavizzana e Rabbi.

La chiesa di Malé, almeno dal 1500 in poi, mantiene grosso modo le stesse proporzioni (qualche aggiustamento si ebbe nel restauro di fine Ottocento). In essa c’erano in tutto 68 banchi, divisi in due raggruppamenti attorno alle colonne della navata centrale (46 banchi), in due piccole sezioni a fianco dei muri laterali a destra ed a sinistra (7 per parte), ed infine appoggiati fra le colonne vicino alle tre porte d’ingresso (tre a sinistra e cinque a destra dell’entrata).

Le dimensioni dei banchi erano varie: il maggiore arrivava a m. 4,055 di lunghezza; il più corto era di m. 0,76. Per calcolare l’esatta misura dei banchi, dato che nel documento si usano termini ormai scomparsi, bisogna ricordare che un “piede” equivaleva a m. 0, 316, mentre una “oncia” valeva cm. 2, 633 (l’oncia viennese, in uso nel Trentino dal 1771, era la dodicesima parte di un piede).

Le misure di lunghezza di Trento, allora, si usavano quasi solo per calcolare la superficie delle campagne: il piede trentino era di m. 0, 3617; l’oncia trentina di cm. 3, 014.

Per i banchi di Malé vale la misura di Vienna. L’elenco (1*)  riporta il nome dei “padroni” o titolari dei banchi della chiesa pievana, cominciando dalla bancata minore di sinistra (dove c’è ora il fonte battesimale del 1400); a seguire la bancata  sul lato sinistro della navata centrale; quindi a quello maggiore sul lato destro; i nomi dei proprietari dei banchi appoggiati al muro di destra nella navata laterale ed infine quelli dei banchi in fondo alla chiesa.

Il documento da cui attingo, è intitolato: “Prospetto dei sedili esistenti attualmente nella Ven. chiesa di Malé, il cui diritto di uso spetta come sotto”; in calce al foglio sul lato destro, c’è il timbro Fabbriceria Parr. di Malé” seguito dalla scritta: “Dalla Fabbriceria della Ven. Chiesa parr. di Malé ai 30 agosto 1875 p. Alessandro Conci Fabbriciere”. 

Il documento è curioso anche perché riporta il nome, a volta con il soprannome, di tutte le famiglie che ‘contavano’ nella bassa Val di Sole.

Don Fortunato Turrini