Produzione integrata e biologica: percorsi seri ed impegnativi

Produzione integrata e biologica: percorsi seri ed impegnativi

In campo agricolo, nelle Valli del Noce, Il settore frutticolo è quello preponderante sia per PLV (Produzione Lorda Vendibile), con un utile di circa 200 MLN all’anno, che per l’indotto generato sull’economia di tutto il territorio. In rapporto alla superficie agricola coltivata è un risultato eccellente che deriva dall’impegno e dalla capacità dei vari attori di un settore che cerca di fare rete. L’eccellenza della produzione melicola è legata, oltre che al favorevole contesto climatico-ambientale, anche alla rimarcata, ma per niente facile, capacità di gestire e difendere adeguatamente le colture nel rispetto delle esigenze ambientali, della società e dei consumatori. La strada per arrivarci è stata quella della cosiddetta “produzione integrata” (PI). Ossia, l’agricoltore, nei propri frutteti, deve saper mettere in atto tutta una serie di azioni agronomiche, meccaniche, di scelta dei mezzi tecnici e tecniche di difesa delle piante che consentano di minimizzare il ricorso ai prodotti chimici, ancorché estremamente importanti. Il percorso è iniziato volontariamente fin dai primi anni ‘90 e venne definito nei cosiddetti “Protocolli di autodisciplina”. Non è stata e non è una strada agevole da percorrere, perché, nei nostri ambienti e con il nostro clima, alcune avversità, vecchie o nuove, possono essere molto pericolose.

Dal 2006, in provincia di Trento, la PI è certificata da un ente terzo secondo le norme ISO 9001. Nel 2008 è stato poi perfezionato tutto il sistema, in accordo fra APOT (Associazione Produttori Ortofrutticoli Trentini) e PAT. A livello nazionale l’obbligo per legge è entrato in vigore con il PAN (Piano di Azione Nazionale) nel 2014 ed è stato recepito, anche in provincia di Trento, con la DGP n. 1675 dello stesso anno. é stato scelto il livello superiore, previsto dalla legge, più impegnativo e severo, aderendo ad uno specifico “Disciplinare di Produzione Integrata” (DPI), che, ogni anno, viene aggiornato e deve essere approvato dalla commissione nazionale conformemente al SQNPI (Sistema di Qualità Nazionale per la Produzione Integrata).  Al coordinamento dell’attività è stata riconfermata APOT con la collaborazione della commissione di gestione e la commissione di vigilanza.

Il DPI contiene una serie di regole e limitazioni che l’agricoltore sottoscrive e si impegna a rispettare: di tipo agronomico, di gestione delle erbe sul filare, d’irrigazione, di distribuzione delle miscele in campo, di pratiche ecologiche da applicare, di controllo visuale dei parassiti, di ricorso alle biotecnologie e di tenuta del “quaderno di campagna” informatizzato, quale documento ufficiale di registrazione delle varie attività svolte, comprese quelle inerenti al proprio aggiornamento. Sono previste anche delle limitazioni nella tipologia e nell’uso dei prodotti fitosanitari e diserbanti che possono essere impiegati rispetto alla totalità dei formulati disponibili. L’agricoltore si impegna anche a sottoporsi ai controlli e campionamenti (per analisi di laboratorio) da parte della specifica commissione. In caso di infrazioni, più o meno gravi, sono previste sanzioni e possibili penalizzazioni sul prezzo del prodotto conferito.

Oltre ai disciplinari di PI, il frutticoltore deve rispettare anche ulteriori impegni e controlli previsti dalla certificazione volontaria Globalgap e dai vincoli di legge relativi all’uso dei fitofarmaci, al regolamento per i trattamenti in zone sensibili e al regolamento per la tutela delle acque. Tutto ciò per dare maggior sostenibilità al settore.

Ancora più impegnativa è la frutticoltura biologica (di seguito PB) soprattutto perché i mezzi ammessi per la protezione delle piante, per il controllo delle infestanti e per la regolazione della produzione sono certamente meno efficaci di quelli convenzionali. Ne consegue che oggettivamente si possono subire maggiori danni da fitopatie e una riduzione delle rese mediamente di un 20-30% o anche più. Come già detto in altre occasioni, il forte sviluppo che questo settore ha avuto, negli ultimi anni, è legato ad un mercato recettivo ed interessante; tuttavia, negli ultimi tempi, il consumo di prodotti bio ha decisamente rallentato. L’agricoltura biologica esclude totalmente la possibilità di utilizzare prodotti chimici di sintesi nella gestione e difesa delle piante. Va però ricordato che, per varie colture compreso il melo, il numero di trattamenti stagionali che si rende necessario è mediamente superiore rispetto alla PI proprio perché i mezzi disponibili hanno un’efficacia minore.

Certamente i principi della PB si basano su una gestione agronomica della coltura rispettosa della natura e senza forzature cercando di favorire al massimo gli equilibri biologici naturali e la resistenza naturale delle piante; fondamentali dovrebbero essere anche la diversificazione e rotazione colturale; ma a volte non è comunque sufficiente per tenere le piante in salute. Quindi si ricorrere, quando necessario, ai fitofarmaci ammessi nel bio che sono stati registrati e regolamentati come quelli di sintesi perché potenzialmente possono essere anch’essi pericolosi. Da quest’anno, il regolamento europeo di riferimento per la PB è il 2018/848 che indica con precisione tutte le regole da seguire e prevede la possibilità della certificazione collettiva.

Certamente l’agricoltore deve essere protagonista e particolarmente preparato, motivato e disposto anche a sopportare i maggiori rischi legati a questo modo di produrre. Per questo non può essere imposto ma deve essere una scelta consapevole. Un’incognita inquietante, ad esempio, è il controllo dei fitofagi vettori di malattie virali che possono compromettere le piante stesse oppure il contenimento di certi insetti alieni invasivi.

L’agricoltura bio viene certificata a seguito dei meticolosi controlli eseguiti da uno degli organismi accreditati dal Ministero delle Politiche Agricole. Come per la PI, saltuariamente possono esserci anche ispezioni da parte dei Nas o repressione frodi o altri organismi di controllo.

Sulla presunta maggior sostenibilità delle produzioni biologiche ci sono varie scuole di pensiero e non tutte concordano. Tuttavia la recente approvazione di una specifica legge nazionale per incrementare il settore del bio evidenzia la volontà politica di riconoscergli una funzione sociale e ambientale; anche la L.P. 4 è state recentemente integrata. Certamente l’inevitabile prezzo più alto di questi prodotti rispetto a quelli convenzionali potrebbe indurre un calo dei consumi che, nel caso dell’ortofrutta, si tradurrebbe in un peggioramento della dieta a discapito della salute.

Attualmente nelle valli del Noce la coltivazione bio del melo interessa sei aree per una superficie totale di circa 320 ettari.

In definitiva PI e PB sono due modi di produrre diversi, ma entrambi seri e molto controllati, che forniscono prodotti agricoli con valori nutrizionali e salutistici molto simili come evidenziato da numerosi studi specifici.

Piergiorgio Ianes