Come saranno nel 2025 l’economia e i mercati?

Stiamo archiviando un 2024 con buone performance, migliori di quelle previste ad inizio anno, nonostante si sono verificati molti eventi traumatici che potenzialmente avrebbero potuto innescare delle reazioni a catena e quindi cambiare completamente i dati dei rendimenti attuali.
Il 2025 sarà in gran parte condizionato dalle scelte che farà in ambito economico la nuova amministrazione USA. Nei giorni immediatamente successivi all’elezione di Trump, i mercati hanno messo a segno una buona performance, perché si sono concentrati sugli aspetti positivi previsti nel programma del nuovo inquilino della Casa Bianca, precisamente:
– la volontà di abbassare le tasse;
-attuare una deregulation molto aggressiva;
-reindustrializzare l’America anche attraverso l’imposizione di dazi elevati sulle importazioni.
Negli ultimi giorni invece abbiamo assistito ad uno storno dei mercati, perché hanno maggiormente preso in considerazione i rischi legati alla possibile ripresa dell’inflazione. Teniamo conto che attualmente ci troviamo già con un dato superiore agli obiettivi ufficiali e se saranno prese alcune misure annunciate dalla nuova amministrazione, l’inflazione potrebbe rimanere ancora vivace.
In effetti gli analisti ora, rispetto a qualche mese fa, prevedono un rallentamento nel taglio dei tassi d’interesse da parte della FED nel 2025 e quindi ci potrebbero essere dei contraccolpi sui mercati.
Lo scenario condiviso dalla maggior parte di analisti è che l’amministrazione Trump concentrerà gli sforzi per stimolare una crescita della produttività. Per raggiungere l’obiettivo dovrà trovare un equilibrio negli interventi di politica economica perché è difficile crescere senza troppa inflazione e senza troppo disavanzo, quindi, la soluzione probabile sarà quella di una deregulation.
Altra azione prevista dal programma di Trump e ribadita anche dopo le elezioni, è quella dei dazi.
L’intenzione del nuovo Presidente USA è di introdurre tariffe del 60% sui beni cinesi e del 20% su quelli provenienti dal resto del mondo. Il timore è che queste misure possano avere un impatto significativo sul commercio globale e sull’economia dell’area euro, il che rappresenterebbe un duro colpo per il mercato UE, che già versa in condizioni di performance modesta e con margini di manovra limitati.
Per capire se queste nubi si trasformeranno in vera tempesta occorre fare due considerazioni:
A la prima, attiene a quanto la nuova amministrazione americana voglia calcare la mano con l’imposizione di dazi elevati per un periodo di tempo significativo;
A la seconda è quella che ipotizza l’utilizzo dei dazi come arma negoziale per chiudere accordi commerciali bilaterali di fornitura di prodotti americani (nel caso europeo in particolare l’energia). A questo proposito, la nomina di Scott Bessent come nuovo Segretario del Tesoro è significativa. Quest’ultimo infatti ha dichiarato esplicitamente che conciliare dazi elevati con un dollaro forte rappresenta una sfida significativa, a causa delle dinamiche inflattive interne che il protezionismo inevitabilmente comporta. Se si escludono soluzioni più radicali, come una parziale reintroduzione dei controlli ai movimenti di capitale, lo scenario centrale ci porta a ritenere che sul fronte delle tariffe, almeno nei confronti degli alleati, l’attività della presidenza Trump sarà, come in passato, di tipo transattivo.
Vediamo ora sinteticamente quali potrebbero essere gli impatti dell’azione di Trump sulle singole Aree geografiche:
L’AREA EURO
Per l’Europa il 2025 sarà l’anno in cui si capirà se è in grado di costruire una proposta comune oppure come è accaduto in passato, ogni paese si relazionerà direttamente con gli USA. Su questo punto l’Italia è avvantaggiata perché può contare su una maggiore solidità del governo rispetto agli altri paesi come Francia e Germania. I dati del 2023 indicano che l’eurozona ha esportato circa il 3% del PIL verso gli USA, con un avanzo commerciale di beni intorno ai 152 miliardi di euro. I principali prodotti esportati verso gli USA sono prodotti farmaceutici, macchinari e veicoli. Questi tre settori, da soli, costituiscono il 50% del surplus commerciale europeo. Di contro, l’Europa importa dagli USA principalmente combustibili, con una dipendenza aumentata dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
Un’analisi della BCE mostra che qualsiasi decoupling commerciale (azione per ridurre le interdipendenze e la dipendenza economica dalla Cina per motivi di sicurezza nazionale) comporterebbe una riduzione del PIL mondiale. Le stime vanno da un calo del 2% nel caso di restrizioni parziali fino a un impatto negativo superiore all’8% in caso di un divieto totale. Gli Stati Uniti vedrebbero una perdita del 5% del PIL in scenari estremi, ma a subire un colpo devastante potrebbe essere la Cina, con una riduzione del 20% del PIL. L’Unione Europea sarebbe anch’essa gravemente colpita, con un calo vicino al 10% del PIL.
L’INCERTEZZA CINESE
La Cina è il vero “nemico commerciale” degli USA, e l’azione dell’amministrazione Trump riguarderà non solo le decisioni sulle tariffe, ma anche il fatto che possano essere introdotti controlli sui capitali al fine di riequilibrare il commercio estero statunitense limitando l’accesso dei paesi stranieri agli investimenti in dollari, si potrebbe infatti ridurre il surplus commerciale dei partner degli USA, costringendoli a spendere di più su beni americani (nel 2023, il disavanzo con la Cina era ancora di 279 miliardi di dollari).
Negli ultimi mesi la Banca Popolare Cinese si è mossa in anticipo riducendo il tasso di interesse sulle operazioni di reverse repo di 30 punti base e il coefficiente di riserva obbligatoria delle banche di 100 punti base. Questi interventi continuano a liberare liquidità per i prestiti bancari, sostenendo il credito e gli investimenti cercando di stabilizzare le quotazioni dei mercati. Inoltre, è stato lanciato un programma da 10 trilioni di yuan per trasferire i debiti impliciti dei governi locali nei bilanci ufficiali, riducendo i costi di servizio del debito e migliorando le capacità di spesa.
Una delle stime che sta circolando è quella per cui gli Stati Uniti potrebbero introdurre tariffe parziali su 300 miliardi di dollari di beni cinesi nel terzo trimestre del 2025, con ulteriori aumenti nel 2026. L’economia cinese, che nei primi 10 mesi del 2024 ha contato sull’export netto per un quarto della crescita, risentirebbe negativamente di questo scenario. Tuttavia, un fenomeno di “frontloading” (acquisti anticipati da parte degli importatori USA) potrebbe spostare l’impatto economico principale sul 2026.
L’INDIA E IL MESSICO
Guardando ad altri paesi emergenti potenzialmente coinvolti nel risiko delle tariffe americane, l’economia messicana potrebbe affrontare significative sfide legate ai piani protezionistici di Donald Trump. Il ministro dell’Economia del Messico, Marcelo Ebrard, ha avvertito che queste misure rischiano di danneggiare le aziende statunitensi che operano in Messico, oltre a compromettere le filiere produttive cruciali, in particolare nel settore automobilistico.
Il Messico è il principale partner commerciale degli Stati Uniti, con un intenso scambio bilaterale regolato dal US-Mexico-Canada Agreement (USMCA). Tra il 2023 e il 2024, le esportazioni del Messico verso gli Stati Uniti sono aumentate del 6,5%, mentre le esportazioni statunitensi verso il Messico sono cresciute del 4,7%, dimostrando l’importanza di questa relazione. Ebrard è ottimista riguardo ai futuri negoziati, osservando che l’USMCA è stato promosso proprio da Trump durante il suo primo mandato e ritiene improbabile che l’amministrazione Trump metta a rischio un accordo che ha prodotto risultati positivi, anche se la revisione prevista per il 2026 potrebbe introdurre instabilità.
Relativamente più protetta dalle tariffe americane sembra l’economia indiana, che è pronta a riprendere slancio nel 2025 con una crescita prevista al 7,3% nell’anno fiscale che si conclude a marzo 2026. Questo miglioramento sarà favorito da una serie di fattori, tra cui la riduzione dei tassi di interesse, raccolti agricoli abbondanti e un aumento della spesa pubblica. L’inflazione, che nel 2024 aveva raggiunto il 6% a causa dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari, dovrebbe scendere al 3,9% nel primo trimestre del 2025 e stabilizzarsi intorno al 3,6% nel 2026, grazie al miglioramento dell’approvvigionamento alimentare. L’alleanza tra Trump e il Primo Ministro indiano Modi, è un ulteriore fattore positivo. Nuove tariffe americane contro la Cina offrirebbero all’India lo spazio per rafforzare il suo settore manifatturiero e attirare le catene di approvvigionamento globali in uscita dal mercato cinese. Anche i prezzi del petrolio più bassi potrebbero giocare a favore dell’India, che è uno dei maggiori importatori di petrolio al mondo.
In conclusione posso dire che anche il 2025 sarà un anno in cui è necessaria molta attenzione e professionalità nella gestione dei risparmi. Questi sono anni in cui chi non segue attentamente gli sviluppi dei propri investimenti e non si affida ad interlocutori capaci, potrebbe trovarsi delle brutte sorprese. É fondamentale avere chiaro come si è posizionati: la diversificazione applicata, il profilo di rischio, su quali mercati ed in quali settori si è investiti. Queste risposte devono essere fornite con massima chiarezza dal vostro interlocutore e se non è in grado di darle, ci si deve rivolgere ad altri, perché ogni struttura finanziaria è obbligata a fornire queste informazioni ai propri clienti.
Buon 2025 a tutti!