La seconda Guerra Rustica

La seconda Guerra Rustica

Nel XV secolo, il Trentino era connotato da una serie di piccoli villaggi abitati da contadini che ogni giorno lottavano per sopravvivere e mantenere la propria famiglia.

Vivere nella nostra Valle nel 1400 non era facile.

Le famiglie, in genere, abitavano in case semplici, costruite in pietra e legno, conducendo una vita molto grama. Le malattie, le carestie e le guerre rendevano difficile la vita a tutti gli abitanti.

Quasi tutti gli uomini erano dediti all’allevamento delle mucche, delle pecore e dei maiali e alla coltivazione dell’orzo, della segale e del grano.

Il lavoro dei campi, svolto ancora in maniera empirica, produceva risorse molto scarse, Per di più, molto spesso i contadini erano obbligati a conferire parte del loro raccolto alla mensa vescovile o ai signorotti locali.

Nel Medioevo le Valli del Noce, come il resto del Trentino, erano governate dal Principe Vescovo, una figura che univa il potere spirituale a quello temporale. Egli esercitava il suo dominio sulla periferia attraverso dei delegati o dei signorotti.

Questa situazione particolare portò spesso a rapporti complessi e difficili, specialmente con i servi della gleba, cioè con i contadini che lavoravano le terre ed erano vincolati ad esse e ai proprietari.

In cambio di questo ricevevano protezione e il diritto di coltivare alcune terre spesso a mezzadria.

Essi, essendo vincolati alla terra che lavoravano, non erano liberi di muoversi. Non potevano nemmeno possedere proprietà private senza il consenso del signore.

Verso questi ultimo avevano anche degli obblighi di lavoro (corvée) ed erano tenuti al pagamento delle tasse e dazi vari.

Per migliorare la loro vita, i servi della gleba rivolgevano continuamente richieste e proteste al Vescovo ai loro signori, sperando di ottenere condizioni più giuste ed eque.

Soprattutto chiedevano maggior libertà di movimento onde poter cercare nuove opportunità di lavoro compreso anche l’affrancamento dalla schiavitù dei campi. Chiedevano, inoltre, la diminuzione delle tasse e delle decime da pagare al signore locale. Spesso queste erano troppo onerose e rendeva loro quasi impossibile condurre una vita decente.

Infine, ma non meno importante, i contadini chiedevano al Vescovo di essere maggiormente tutelati contro gli abusi e i soprusi dei signorotti locali.

In sintesi, i contadini reclamavano più libertà e condizioni di vita migliori, mentre il vescovo, come signore feudale, cercava di mantenere le cose come stavano per avere un maggior controllo sulle terre, sulle rendite e sui suoi abitanti.

Questa situazione innescò dei gravi episodi di ribellioni successivamente denominate “guerre rustiche”.

Esse erano spesso combattute dai contadini che si univano in gruppi per compiere degli attacchi alle proprietà dei signori, usando armi molto semplici come forche o badili.

Le più importanti “Guerre rustiche” si svolsero nel 1407, 1477 e 1525.

La prima e la terza insurrezione furono quasi delle appendici di sommosse iniziate fuori dalla nostra zona, mentre la seconda nacque, si sviluppo e si concluse nell’ambito delle Valli del Noce.

Naturalmente anche questa sommossa iniziò come reazione alle dure condizioni di vita, alle esose tasse e alle ingiustizie ingiunte dai signori locali e dalle autorità vescovili.

I contadini, stanchi di essere oppressi e sfruttati, decisero di ribellarsi per difendere i propri diritti e le proprie terre. Oltre a questo, chiedevano lo spostamento della sede giudiziale da Coredo ad una località più comoda.

La situazione era diventata insostenibile e i contadini decisero di mettere fine una volta per tutte a questo stato di cose. La sommossa scoppiò dopo un lungo lavoro di preparazione svolto attraverso una serie di incontri clandestini nelle varie stalle e cantine dei nostri paesi cercando di evitare il grande pericolo rappresentato dai delatori.

Uno dei capi della rivolta abitava a Dermulo e si chiamava Antonio Inama, un altro era di Cles, due di Romallo e due della Val di Sole.

Essi, dopo aver raggiunto un buon numero di adepti, stanchi di sopportare gli abusi del funzionario del Principe Vescovo, decisero di portarsi a Coredo per ottenere con la forza quello che non avevano ottenuto con i reclami e con l’insurrezione di settant’anni prima.

Per non destare sospetti concordarono di trovarsi tutti a Sanzeno, il 29 maggio, confusi tra la folla dei pellegrini accorsi per la festa dei Martiri Anauniesi.

E così, terminata la Messa, i manifestanti, al grido di “Viva il popolo, abbasso il Vescovo”, imboccarono la valle di san Romedio e i sentieri di campagna per raggiungere Coredo.

Durante il tragitto si aggiunsero alla già numerosa schiera molte persone dei paesi limitrofi ed altri quattrocento valligiani giunti da Dimaro e dintorni.

A Coredo i rivoltosi erano circa quattromila. Giunti sul posto, però, con loro grande delusione appresero che il delegato vescovile Nicolò de Firmian era assente da due giorni e non si sapeva quando sarebbe tornato.

Cercarono allora di assaltare il castello ma, non riuscendoci, saccheggiarono le case degli impiegati vescovili e misero in stato d’assedio il maniero.

Il giorno successivo, con grande sorpresa, mentre tutti i ribelli bivaccavano, apparve in sella di un bianco cavallo un nobile seguito da quattrocento soldati.

Era il conte Sigismondo de Tono di Castelfondo ma proveniente da castel Bragher.

Fraternizzò con i ribelli e promise loro di aiutarli nella risoluzione dei loro problemi. Lo accolsero come un salvatore, un mediatore ed un paciere e, come tale, si fece aprire e accogliere in castello. Una volta entrato e presentatosi come garante, con la scusa di evitare cose peggiori, si fece consegnare le armi dei soldati locali. Si presentò poi ai contadini vantandosi di essere riuscito a prendere il maniero senza colpo ferire.

Una volta tornata la calma Sigismondo de Tono, col pretesto di mantenere l’ordine, occupò di fatto la Valle di Non e di Sole in nome e per conto del duca del Tirolo.

Con questo colpo di mano le nostre Valli cambiarono padrone, ma le cose non migliorarono affatto; anzi, vi fu una riduzione delle libertà personali e una serie di pesanti condanne nei confronti dei capi popolo.

Il Vescovo Udalrico di Frundsberg poté tornare in possesso dei territori usurpati solamente nel 1488.

Anche se la rivolta non ottenne i risultati voluti e fu soffocata in questo modo, non va dimenticato che la Seconda Guerra Rustica del 1477 rappresentò un momento importante di resistenza popolare.

Essa contribuì a rafforzare il senso di identità e di autonomia tra i nostri contadini e ad una maggiore consapevolezza dei propri diritti.

Fu una testimonianza della forza e della determinazione della nostra comunità rurale usata per la difesa delle proprie terre e della propria libertà.

Piero Turri